di GIOVANNI VALENTINI – da Repubblica – 22 maggio 2010
Con l’ammutinamento di Maria Luisa Busi, volto storico del Tg1, che si sottrae alla conduzione nell’era Minzolini, arriva al culmine la crisi della maggiore testata televisiva nazionale e del disservizio pubblico che la Rai ormai fornisce e rappresenta. Ma arriva al culmine soprattutto la crisi del rapporto tra politica e informazione, sempre più compromesso dalle pretese autoritarie ed egemoniche del governo in carica. In un sistema dominato dal conflitto di interessi, sottomesso al regime televisivo, succube della prepotenza di una maggioranza che tende a ridurre o a soffocare la libertà di stampa, il gran rifiuto di una giornalista che si autoesonera dalla responsabilità di condurre il telegiornale diventa un grido d’allarme e di denuncia contro l’assalto organizzato ai diritti dei telespettatori e di tutti i cittadini.
Diciamo pure “ammutinamento”, perché la stessa Busi – nella lettera affissa nella bacheca della sua redazione – lamenta e contesta quello che definisce senza mezzi termini il “dirottamento” del Tg1 sotto la guida disinvolta e spregiudicata del direttore Augusto Minzolini. E quando il comandante va arbitrariamente fuori rotta, mettendo a repentaglio la sicurezza della nave e l’incolumità dell’intero equipaggio, i marinai hanno il diritto-dovere di ribellarsi per cercare almeno di evitare il naufragio. È proprio quello che teme la Busi quando dichiara pubblicamente di non riconoscersi più nella testata in cui lavora, paventando il fatto che il nostro principale tg «rischia di schiantarsi contro una definitiva perdita di credibilità». Sono già tristemente note le numerose licenze e stravaganze che Minzolini s’è concesso, da quando è stato insediato al vertice del telegiornale in forza della sua fedeltà e sudditanza al governo e in particolare al presidente del Consiglio, perdendo contemporaneamente qualità e ascolti. Propaganda di regime invece di informazione politica, comizi di parte invece di editoriali giornalistici, servizi o bassi servizi privati invece del servizio pubblico.
Neppure all’epoca del vituperato monopolio, la Rai era mai arrivata a tanto e in modo così sfrontato, arrogante, volgare. Tutto ciò a spese e a danno del telespettatore, abbonato e contribuente, che paga il canone per finanziare una televisione di Stato e non una televisione di regime. In violazione di un Contratto di servizio che stabilisce esplicitamente gli obblighi istituzionali della Rai nel segno del pluralismo, e in particolare nel settore nevralgico dell’informazione: dalla completezza all’oggettività e all’imparzialità. E ancor più in spregio all’opinione pubblica, di destra o di sinistra, di maggioranza o di opposizione, che viene indottrinata quotidianamente dal megafono catodico di Palazzo Chigi, attraverso lo sfruttamento di un bene comune come l’etere.
Appena all’indomani del “caso Santoro”, con tutto lo strascico di perplessità e di polemiche che ha già suscitato, una nuova falla si apre così nell’immagine e nella rispettabilità della Rai. La più grande azienda culturale del Paese sembra davvero una nave alla deriva, una nave-fantasma, senza rotta e senza nocchiero. Altro che “palazzo di vetro” di viale Mazzini: quello è ormai un bunker, una casamatta, un fortilizio assediato, sotto il tiro incrociato delle truppe governative e il “fuoco amico” dei suoi stessi dirigenti, giornalisti e dipendenti. Se fosse vero anche nel nostro caso che «c’è del metodo in quella follia», come Shakespeare fa dire a Polonio nel suo “Amleto”, allora si potrebbe legittimamente dedurre che qui il metodo consiste nella demolizione o nell’annientamento del servizio pubblico in quanto principale concorrente del polo televisivo privato che fa capo tuttora al presidente del Consiglio. Sospendere i talk-show della Rai durante le elezioni; chiudere “Annozero” e altre trasmissioni più o meno scomode; liquidare a qualsiasi costo Santoro, Travaglio e magari Serena Dandini; emarginare i volti ribelli dei telegiornali e gratificare i fedelissimi, sono tutti elementi di un “puzzle” che il Cavaliere compone e ricompone a suo piacimento come in un gioco di prestigio, ingannando la buona fede degli spettatori. Sono proprio loro, infatti, cioè i cittadini e gli elettori, i destinatari o – per così dire – gli “utilizzatori finali” dell’informazione, scritta e radiotelevisiva. È contro il loro diritto all’informazione che si consumano gli abusi e i soprusi da parte del potere politico, a colpi di intimidazioni personali, di epurazioni o di leggi-bavaglio come quella inammissibile sulle intercettazioni telefoniche e ambientali.
Noi giornalisti possiamo anche cercare di continuare a fare la nostra piccola parte. Ma in realtà siete voi, lettori e lettrici, che rischiate di subire il danno maggiore da questo giro di vite contro la libertà di stampa e d’opinione.