ITAS “Salvator Ruju” di Sassari, il ballo di docenti e alunne contro la violenza

Adi Maria Elena Sini

Partecipare all’evento ONE BILLION RISING per me è stato emozionante, forte, coinvolgente. Appena ho visto il video su facebook e ho letto l’appello di Eve Ensler ho deciso che dovevo esserci e nel mio studio, rischiando di sbattermi alla sedia o al tavolo, con il computer acceso sul video tutorial ho iniziato ad imparare la coreografia seguendo le indicazioni di Debbie Allen, per la mia generazione la mitica Lydia Grant di “Fame”. Sentivo che era importante partecipare, sollevarsi con un miliardo di altre donne per affermare che il corpo delle donne non può essere deriso, offeso o considerato proprietà disponibile nemmeno in nome dell’amore.

480890_4107111810682_464004847_nIl giorno dopo ho iniziato a parlarne con qualche collega della scuola in cui insegno (frequentata in gran maggioranza da ragazze) perché volevo sensibilizzare le alunne rispetto a questa iniziativa e approfittarne per affrontare in classe il tema della violenza sulle donne: troppe volte, purtroppo, attraverso racconti espliciti o in modo velato veniamo a conoscenza di storie di soprusi e sopraffazione legate a relazioni sentimentali finite o malate, amori sbagliati che le nostre alunne subiscono perché gli stereotipi sui ruoli impediscono di riconoscere la violenza di genere. Sono convinta che la scuola attraverso un’educazione alla comprensione, decodifica e gestione delle emozioni, e tramite la condivisione di un’analisi semiotica della comunicazione, del linguaggio dei media e della pubblicità riguardo al corpo femminile può contribuire a cambiare la cultura patriarcale che ci domina e nella quale affonda le radici la “strage delle donne”. Alcune delle colleghe hanno condiviso la mia idea, anzi la proposta di Patrizia è andata addirittura oltre : ha suggerito infatti di usare la palestra della scuola non solo per fare le prove della coreografia per poi partecipare agli appuntamenti del flashmob previsti nella nostra città, ma anche per proporre l’evento all’interno della scuola il 14 febbraio .

Così sono iniziati i preparativi : alunne e insegnanti insieme ci siamo fermate al termine delle lezioni per provare, altre volte abbiamo utilizzato le ore curriculari perché avevamo la consapevolezza che attraverso il ballo passasse comunque un messaggio importante : senza fare lezioni, ma per i quattro minuti della canzone, attraverso i movimenti delle gambe e delle braccia, più o meno sincronizzati, attraverso il ritmo e il sorriso nessuna si è sentita sola davanti alla violenza e il nostro corpo ha gridato la nostra voglia di cambiare.

Se noi adulte mantenevamo il nostro ruolo di docenti nel momento in cui spiegavamo il senso dell’iniziativa, traducevamo il testo della canzone e parlavamo del fenomeno del “femminicidio”, i ruoli si ribaltavano quando partiva la musica ed erano le alunne, più rapide ad apprendere i passi della coreografia, che insegnavano come fare un giro o un salto.

485151_4107109370621_519544198_nLa mattina del 14 febbraio Patrizia è arrivata con ago, filo e ritagli di stoffa per riprodurre sulla maglietta il logo dell’evento, abbiamo fatto le ultime prove mentre alcuni ragazzi dell’Istituto piazzavano l’impianto di amplificazione e abbiamo ringraziato per aver ricevuto in dono una splendida giornata di sole.

Non siamo riuscite a coinvolgere tutte le alunne: molte non hanno partecipato perché si vergognavano di ballare davanti ai compagni e ai professori, altre perché non capivano in che modo un ballo potesse servire per riaffermare il diritto delle donne alla loro libertà e incolumità ovunque nel mondo. Alle 10,30 siamo uscite nel cortile e abbiamo visto puntati su di noi gli sguardi apparentemente di sufficienza, ma in realtà pieni di curiosità, di alunni, docenti, bidelli affacciati alle finestre: quando poi è risuonata la musica e ci hanno visto danzare tutti hanno rimpianto di non essere stati con noi in quel momento perché era evidente la corrente di energia che c’era tra le partecipanti, il calore, la solidarietà che si esprimevano attraverso il modo più immediato per dire che lo spirito che anima un corpo non può essere imprigionato o violato. È evidente che la violenza sulle donne è la cima di un iceberg che affonda nella cultura caratterizzata dal potere diseguale tra uomini e donne ed è altrettanto evidente che nel nostro Paese è necessario un intervento per rimediare alla scarsa applicazione e alla poca efficacia delle leggi contro i maltrattamenti, che esistono ma non riescono ad arrestare i “femminicidi”, ma non bisogna sottovalutare momenti come questo in cui un miliardo di persone si sentono parte di un movimento che in tutto il mondo vuole “spezzare le catene” (come dice la canzone) e che in una scuola di provincia riesce, almeno per qualche momento, ad abbattere le distanze tra docenti e alunne per costruire insieme un’azione densa di significati.

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