Ma che ci azzeccano le donne di Repubblica col settimanale D?

di Wally Festini*
Premessa. Compero Repubblica dalla nascita. Amo il suo formato, i suoi giornalisti e direttori, i vignettisti, la bacheca di Tuttomilano, le sue intelligenti trasformazioni. Spesso non mi riesce di gettare gli articoli più interessanti. Li ritaglio, li regalo, li conservo. Acquistarlo sempre è il mio gesto per sostenere la cultura.
Ma che male ho fatto per meritarmi il settimanale femminile? Mi basta vederlo per provare disagio, disgusto e pure rabbia. In passato lo lasciavo in edicola, furiosa per doverlo pagare comunque. Poi l’ho ritirato. Estraggo con cura l’articolo di Zucconi, le recensioni dei libri (4 o 5 pagine sulle 300), gli articoli sulla Palestina (ma perché mai dovrebbero interessare solo alle donne? Si occultano tra immagini sciocche così la comunità ebraica non protesta?) e sfoglio con sguardo sociologico il resto.
Che cosa mi fa inviperire? L’immagine della donna, che coincide, sciaguratamente identica, con quella della pubblicità e della “moda”. La donna di D viaggia sui tacchi a spillo 20 con la zeppa (o con i scarp de tennis). Peccato che le donne amino camminare, che vogliano poter correre se qualcuno le molesta, che la loro vita frettolosa abbia bisogno sia di bellezza sia di comodità. Niente da fare: o gli orridi scarp de tennis (mi rifiuto di chiamarli col modaiolo sneakers) oppure i trampoli. Dimenticavo che ci sono pure i scarp de tennis col tacco 15, giusto per coniugare bruttezza e scomodità.
Non solo, ma la donna di D è perennemente pronta per l’incontro fatale, per una notte di sesso sfrenato. Purtroppo, nella vita reale, gli incontri fatali scarseggiano e lei desidera essere bella mentre studia, fa la spesa o lavora o si occupa dei bambini. Magari patisce pure il freddo (i vestiti non sono nati per difendersi dalle intemperie?) e il suo corpo non assomiglia quasi mai alle modelle adolescenti. Lei, invece, coprirebbe d’oro un “modaiolo” che le mimetizzasse qualche difetto: le gambe grosse, il seno piccolo, il sedere al posto sbagliato. Bella forza vestire (o meglio svestire) le modelle. Insomma in D solo vestiti importabili e il più delle volte neppure belli. Dovrebbero “far sognare” invece producono incubi (o nevrosi, a scelta).
Da bambine le mamme bacchettone ci dicevano di tenere le gambe unite quando stavamo sedute. Altri tempi. Però abbiamo capito da sole che, in mezzo a stupri troppo facili, è meglio stare in campana prima che qualcuno ci fraintenda. Invece no, su D la modella a gambe aperte va per la maggiore. Con la variante seduta, sdraiata oppure piegata in avanti, giusto per non trascurare nessuna posizione del kamasutra. E lo sguardo non è mai normale: o ammicca o è incavolata, perché a “sedurre” una che non ci sta c’è più gusto.
Infine D ultimamente ci propina le bambine vestite da donne, pure loro sexy, pure loro ammiccanti. Direte è colpa della moda, la moda è un business e non si tocca, la moda sponsorizza le pagine culturali, quelle che ti piacciono tanto. Ok, però c’è un limite. Non puoi da una parte sdegnarti perché le donne sono maltrattate dai media o perché non siedono in parlamento e poi sdoganare il pornosoft o immagini che farebbero la felicità di un pedofilo. Anche il traffico delle armi e della droga sono business. Non faccio paragoni, voglio solo dire che queste immagini di donne sono veleni che ci uccidono lentamente.
Alla fine mi viene da chiedere: ma per che tipo di lettrice è pensato D?
Vi racconto questo. Mi è capitato in mano un magazine femminile cattolico. Ho fatto fatica ad ammettere, io laicissima, il senso di sollievo nel vedere delle modelle che sembravano donne vere e degli abiti portabili.

*psicologa

5 thoughts on “Ma che ci azzeccano le donne di Repubblica col settimanale D?

  1. Bello questo blog! viva la Bonino, una persona politica così seria e competente che . . .riconcilia con la politica.
    cara Wally, chissà se ricorda il che ci siamo conosciute mille anni fa in istituto, un incontro con Cesa-Bianche.
    Un caro saluto
    Valentina D’Urso

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