Mia mamma non mi ha lasciato. Mia mamma è morta

di Daniela Natale

Abstract speaker silhouette with lettersNon capisco cosa ci sia di tanto difficile nel dire che una persona è morta. Ci si arrampica sugli specchi, si cerca di trovare le parole giuste, partono voli pindarici infiniti per arrivare poi alla sostanza, a quella parola. Morta.

In questo primo anno di “orfananza” ho parlato con tanta gente, per i motivi più diversi, e dall’altra parte, che fosse il personale di un ufficio, l’operatore di un call center, il fioraio, il marmista o chi vi pare, l’atteggiamento è stato, ed è, sempre lo stesso. Prima o poi, in qualunque discorso, arriva il momento della fatidica domanda:
“Da quanto tempo tua madre è…”
Pausa.
Gesti circolari con le mani.
Sguardo perso nel vuoto.
Rossore in viso.
Cinque secondi.
“Morta?”, intervengo io.
“Sì”.
Sospiro di sollievo e battito improvvisamente tornato regolare. E il discorso riparte.

Che problema ha la parola morte? È una parola come tante altre. Certo, il concetto non è granché divertente, ma esiste. Sia la parola che il concetto. Hai paura di ferirmi ricordandomi di essere orfana e poi mi costringi a metterti in bocca quella parola. Non è che la paura è della parola stessa? Vorresti dirla. Ma non ce la fai. E devo dirla io. È morta.
C’è quello che cerca di dare un tono melodrammatico alla situazione dicendo “tua madre ti ha lasciato”: non è così, lei non mi ha lasciato e non lo farà mai; c’è quello che vuol farmi passare per una con la testa tra le nuvole che sua madre “l’ha persa”: in realtà, anche se fossi stata più attenta, credo che sarebbe morta lo stesso; c’è anche quello che, secondo una sua valutazione del tutto personale, dice che mia mamma “non c’è più”: lo farei venire in casa mia, a toccare i suoi vestiti e i suoi libri, e poi vediamo se davvero non c’è più. “È deceduta” andrebbe già meglio, ma non è un’espressione molto in voga da queste parti, forse è bruttina pure questa.

Credo che sia un problema serio, questo della parola morte. Ma non capisco perché. È come dire che uno è nato, ma al contrario. Non è difficile dire che un bambino è nato, perché è difficile dire che una persona è morta?

Se avessi usato la parola morte più spesso, nella mia vita, forse tanti passaggi dolorosi che in quest’anno ho dovuto affrontare non avrebbero avuto il peso che poi, in effetti, hanno avuto. Se si usasse la parola morte come tutte le altre parole farebbe meno paura. Se non esprimiamo nemmeno il significante, possiamo mai pretendere di accettarne il significato? Tanto, ottimisti quanto vuoi, là ci tocca.

Mia mamma è morta. Lo penso, lo dico e lo scrivo.
Non sarà una parola piuttosto che un’altra a cambiare la realtà: tanto vale chiamare le cose con il loro nome.

14 thoughts on “Mia mamma non mi ha lasciato. Mia mamma è morta

  1. Conosco per esperienza ciò che scrivi. Perché è difficile dire che una persona è morta? Per pudore: perché è la morte (non il sesso come pensava Freud) il grande rimosso delle culture umane. E infatti, abbiamo paura di esprimere il significante proprio perché, per quanto ce la raccontiamo, non saremo mai in grado di accettarne il significato.

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    • Cara Paola,
      mi trovi molto d’accordo sullo stampo culturale che connota la morte come argomento/parola tabù.
      Va da sé che non parliamo di eventi piacevoli o auspicabili, ma sono convinta che un lavoro di tipo lessicale possa essere un buon inizio per costruire una consapevolezza diversa, in tutti noi, della morte, della perdita e del lutto.
      Secondo me l’unico modo che abbiamo, come esseri umani, per affrontare la morte di una persona cara (che non significa necessariamente accettare o superare l’evento), è crescere sapendo che la morte esiste e fa parte del ciclo naturale della vita, che se ne può parlare anche senza toccare ferro e che chi muore non torna più, Penso a quante volte, soprattutto con i bambini, abbiamo difficoltà a raccontare cosa sia successo all’animaletto domestico che all’improvviso non si vede più in giro, oppure al tale vicino di casa anziano che un bel giorno sparisce dalla circolazione.
      Ma perché deve essere difficile parlarne? Trovo molto efficace e simpatico l’approccio al tema di Marina Sozzi sul suo sito http://www.sipuodiremorte.it/ : secondo me ha centrato in pieno il problema e, in qualche modo, ci suggerisce una strada per integrare sempre di più l’argomento della morte nel nostro quotidiano.
      Sia chiaro che il dolore e il senso di vuoto per non avere più vicino la persona cara rimane e rimarrà sempre, ma io lo farei lo sforzo di parlarne con un po’ di serenità in più, a partire dai dialoghi con i più piccoli.

      Cosa ne pensi, Paola: la mia è solo un’utopia?

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      • Penso che sarebbe l’atteggiamento giusto, ma come dici tu, sarebbe sempre una tamponatura rispetto allo sgomento per ciò che non possiamo controllare, e che ha il potere di annullare noi e le altre a noi persone care, senza chiedere la nostra opinione. I metodi tampone nei confronti della morte sono sempre stati escogitati dalle culture umane, e ognuno/a di noi ne ha uno, forse. Certo, il problema è irrisolvibile, ma ignorarlo, o “evitarlo” simbolicamente, arrivando a non pronunciarlo e a non pensarlo, non ci rende migliore la vita.

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  2. Ciao Daniela,
    perdonami se non ti ho salutato nel post precedente, era solo la foga nel domandare… credo che il concetto di morte sia molto più ampio. Morte, perdita, c’era adesso non più, la consapevolezza che quella persona è perduta, non potrai mai più sentire le sue parole, deliziarti della sua presenza, toccarla. La parola Morte dolce Daniela, non è un tabù essa esprime solo Dolore, quel dolore che nessuno vorrebbe mai provare nella vita, anche se, tocca a tutti prima o poi.

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    • Caro Gabriel,
      indubbiamente il concetto di morte è molto più ampio. La mia riflessione, in effetti, non è sulla sofferenza o sul dolore che prova la persona che perde qualcuno: solo chi purtroppo ha vissuto la perdita da molto vicino può comprendere la violenza con cui ci si sente strappare via l’anima dal petto nel momento in cui qualcuno che amiamo muore. Il mio approfondimento voleva sollevare il problema dal punto di vista della confidenza che abbiamo con la parola Morte, una confidenza che manca fin dall’infanzia perché, evidentemente, la nostra cultura preferisce che l’argomento venga affrontato in età più matura, magari nella sua ineluttabilità, quanto l’evento tragico si manifesta.
      Mi chiedi cosa provi io quando il tizio di turno affronta l’argomento della morte di mia madre: la persona che ho davanti mi fa tenerezza perché mi rendo conto di quanto l’argomento sia disarmante, nel senso che non si trovano mai le parole giuste per parlare del tema in modo delicato. Però penso anche al perché si debba essere delicati. In fondo credo che chi passa da una sofferenza così atroce se ne faccia ben poco del tatto altrui, per così poco poi, per una parola.
      Non mi trovi d’accordo sul fatto che la parola Morte non sia un tabù: per me lo è, eccome. Tu dici che in realtà esprime solo Dolore, che nessuno vorrebbe mai provare…quindi non se ne parla…quindi è un tabù.
      E’ vero, la morte è Dolore allo stato puro, ma torniamo al punto di partenza: siccome fa star male non ne parliamo?
      Io mi sento di lanciare anche un messaggio di speranza che è legato ad altre parole come Ricordo, Specchio, Carattere, Abitudini, Suoni, Tradizioni…c’è tanto che ci lega alle persone care che abbiamo perduto. Una sola brutta parola, Morte, contro tante bellissime altre.

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      • Dolce Daniela,
        fin dall’infanzia siamo sovrastati dal concetto di morte, “il pesciolino comprato alla festa non c’è più, l’uccelletto caduto dall’albero giace per terra, i nonni sono morti…”. leggo quello che scrivi e la cosa che mi colpisce di più è: “Io mi sento di lanciare anche un messaggio di speranza”, è vero la gente ha bisogno di speranza, è l’unica cosa che nessuno al mondo può levarci. Soffriamo, cadiamo, ci risolleviamo e cadiamo ancora, e in tutto questo oblio, vagando nell’oscurità, l’unica cosa che ci aiuta è la speranza. Allora, se vuoi regalare speranza racconta la tua storia, le tue emozioni, le persone hanno bisogno di una storia da leggere, condividere….. C’era una volta……………

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  3. Ma c’è, e mi inserisco nelle parole di Gabriel, anche il bisogno di silenzio. La necessità, se la avvertiamo, di non violare il nostro rapporto intimo con quell’attimo in cui il cuore di un’ altra persona si è fermato e quella persona non possiamo toccarla più, ascoltarla più. Da quando ho letto le parole di Daniela, preparandomi a pubblicarle sul nostro blog, mi chiedo se sia “giusto” che io racconti come il suo e il mio dolore si siano intrecciati, rendendo le nostre storie personali indissolubili. Mi sono messa al computer più volte con il bisogno di lasciarmi andare, fino a oggi ho sempre fatto marcia indietro.

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    • Grazie Paola, condivido il tuo pensiero sul bisogno di silenzio. Aggiungo che molto spesso non ha importanza raccontare i dettagli, i traumi e le vicissitudini della nostra vita: il nostro vissuto è sulla nostra pelle e nei nostri occhi, noi stessi siamo il frutto delle nostre esperienze, senza bisogno di aprir bocca.

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  4. Finalmente vedo scritto da un’altra persona quel che ho sempre pensato durante i lutti della mia famiglia. Donatella è morta. Ettore è morto. Papà mio è morto e mia mamma pure.
    Eravamo 5, e ora sono 1. Ma mai, mai nessuno di loro mi ha lasciato. Sono morti tanto quanto io sono viva.
    Ciascuno di loro mi ha invece lasciato qualcosa: il fuoco, che rade al suolo o che arde vivo e allegro o caldo di passione o nostalgico e meditativo; l’acqua che diluisce o che lava via o disseta; la terra ferma sotto ai miei piedi che tremano, o la terra che trema sotto ai miei piedi fermi e che sotterra o fa germogliare; e l’aria, che mi porta profumi di persone e di cucina, l’odore delle nostre cose e i suoni del nostro lessico; e l’aria da cambiare, quando non va bene, e l’aria di quando piangi risate o ridi lacrime. Gli elementi ancora vivi della mia famiglia e a cui penso ogni volta che negli annunci funebri vedo qualcuno che è mancato all’affetto dei suoi cari. Quanto di più ridicolo possa essere scritto su un annuncio di morte.

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    • Grazie per il tuo contributo Betta,
      condivido ogni tua parola e mi dispiace sinceramente per la morte dei tuoi cari
      Mi auguro che la vita possa essere più generosa con te in futuro di quanto non lo sia stata in passato.

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  5. Grazie Daniela per aver descritto semplicemente e serenamente ciò che oggi, a distanza di quasi tre mesi dalla morte improvvisa di mia madre, provo tutte le volte che cerco di condividere questo evento con altri. La morte di mia madre era la mia più grande e forse unica paura fin da piccola. E senza rendermene conto è arrivata, e l’ho affrontata. Serenamente. Non certo senza dolore. L’omissione, il tergiversare degli altri sul pronunciare la parola morte, mi sembra svelare in loro quella mia paura. Per paura, si evita, si simula, si tace. E la mancata opportunità di condivisione diventa l’ennesima occasione per fuggire, rimuovere nell’illusione, mi permetto di dire “tipicamente occidentale”, che la morte sia un che di diverso, lontano, altro rispetto alla vita, in una deforme concezione di questa.

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