reportage di Marina Severini*
Ho avuto la fortuna di fare un viaggio in Iran nel mese di agosto e di essere ospitata da amici e dai loro amici e parenti in varie zone del paese: Teheran, Isfahan e Rasht (città che si trova a nord, a ridosso del mar Caspio). Ho incontrato pochi turisti occidentali, anche in luoghi che per il loro splendore potrebbero essere mete simili al Colosseo o alle nostre città d’arte; negli scambi occasionali che ho avuto con loro è sempre emerso che la difficoltà di fare un viaggio in Iran è molto legata a un senso di paura per un paese che ci viene mostrato solo attraverso immagini di manifestazioni antioccidentali. Quello che ho scoperto è al contrario la grande ospitalità degli iraniani, non solo di chi mi ha effettivamente ospitata ma anche di quelli semplicemente incontrati per la strada o nella visita a una moschea… riconoscevano immediatamente in me una straniera (nonostante il mio foulard e le maniche lunghe); molti mi hanno fermata per la strada per chiedermi da dove venivo e dirmi solamente benvenuta in Iran.
A volte mi hanno fatto domande più articolate e impegnative (quale idea culturale avevo del loro paese, se stavo scoprendo una realtà diversa da quella che pensavo…), sempre mi hanno invitato a casa loro, anche quando la loro casa era a centinaia di chilometri. Ho potuto conoscere dall’interno la loro vita, le abitudini… Da qui l’esigenza di scrivere qualcosa. Da dove cominciare? Dalle donne, ho pensato.
Le donne in chador e le altre
Per le strade, nei locali, a Teheran e altrove (nei villaggi e nelle città del sud e del nord) ho visto moltissime donne completamente ammantate di nero, dalla testa (capelli completamente coperti) ai piedi. Sotto una tenda nera, chador vuol dire infatti tenda. Ne ho viste altre coi capelli solo in parte coperti da un foulard e con il “mantu” (sorta di camicione con maniche lunghe) colorato e a volte elegante; sono evidentemente le donne che se potessero andrebbero in giro senza troppe coperture. A farne l’esperienza si capisce quale mancanza di libertà sia quella di andare in giro quando fa molto caldo, e si gronda sudore, sapendo che basterebbe un semplice gesto per liberare braccia e collo. Ma è un gesto che non si può fare.
Avevo una certa diffidenza verso le donne in chador, evidentemente convinte di doversi coprire a quel modo (le pensavo del genere fanatiche religiose e rigide ) e anche una sorta di curiosità che mi aveva fatto chiedere ai miei amici di fotografarmi cercando di riprendere anche qualche donna in nero. Molto presto mi sono accorta che molte di loro erano allo stesso modo curiose di me e cercavano d fotografarmi, spesso me lo hanno apertamente chiesto. Per loro la diversa, l’esotica ero io… Ne ho conosciute che mi hanno avvicinata per parlarmi, per sapere di me, del mio paese, per chiedermi cosa pensavo del loro e se sarei tornata ancora in Iran. Per dirmi benvenuta. Per invitarmi a casa loro. Una salutandomi mi ha detto: prega perché anche noi possiamo una volta venire in Italia, me lo ha detto con sorriso triste e una grande dolcezza. Incontri emozionanti; sono state le stesse donne in chador a far cadere il mio pregiudizio.
Fuori/dentro
In casa ci si spoglia, via veli e coperture, via anche le scarpe (i pianerottoli ne sono sempre pieni). Gli interni delle case sono molto chiusi: finestre sempre con le tende tirate (a volte doppie) e quindi luce accesa anche di giorno, aria condizionata giorno e notte, tappeti ovunque, arredamenti spesso vistosi, tè, dolci e frutta a qualunque ora, conversazioni…
Ho frequentato molte case iraniane, anche solo per inviti a cena; alcune volte anche a feste e lì le donne si trasformano, sia per il trucco e i vestiti cui dedicano grande attenzione, sia per la sensualità con cui ballano. Nelle serate minigonne, tacchi anche altissimi, trucco forte. C’è una grande attenzione alla bellezza e un forte ricorso alla chirurgia estetica. Sono moltissime le donne ritoccate (per le strade di Teheran se ne incontrano molte col cerotto sul naso, segno di intervento recente). Mi sono chiesta se l’attenzione esasperata per il corpo e la bellezza e il fortissimo ricorso alla chirurgia estetica siano la reazione alle costrizioni esterne che vogliono il corpo mortificato oppure un tentativo di emulare i modelli occidentali portandoli all’eccesso, quasi alla caricatura. O forse un misto di entrambi?
Donne negli autobus
A Teheran ho preso la metropolitana – dove i primi due vagoni sono riservati alle donne e gli altri di libero accesso e ho visto le donne entrare negli uni e negli altri. E poi, sempre a Teheran ho preso un autobus, diviso a metà: dietro le donne e davanti gli uomini. Mi sono seduta nella parte femminile, non volevo fare l’occidentale che… ma dopo un po’ sono salite tre donne (in chador) e con mia grande sorpresa si sono tranquillamente sedute nella parte riservata agli uomini. Mi hanno spiegato che ora c’è una maggiore flessibilità e minori controlli; ho comunque apprezzato il coraggio di un gesto che nella sua apparente semplicità ha una portata dirompente.

“A girl walks home alone at night” di Ana Lily Amirpour è uno dei quattro titoli iraniani proposti da Fondazione Cineteca Italiana allo Spazio Oberdan di Milano dal 25 agosto al 7 settembre. In programma anche un omaggio a Abbas Kiarostami, il grande regista scomparso il 4 luglio 2016 (http://oberdan.cinetecamilano.it/)
Legami familiari
Vivendo nelle loro case mi sono accorta di come ci sia una grande vicinanza tra le generazioni, i ragazzi passano volentieri il loro tempo con genitori zii e parenti vari, alle feste ballano insieme, giovani e meno giovani. Ho visto madri e figlie (anche adulte) sedute vicine, accarezzarsi e scambiarsi tenerezze. Non so se siano episodi rappresentativi, è quello che mi è capitato di notare, ma mi è sembrato quasi assente quel conflitto generazionale che invece assilla il “nostro” mondo. Questa mia impressione si intreccia con quello che ho letto nel libro Una psicoanalista a Teheran (Gohar Homayounpour) – che ho letto proprio poco prima di partire. Mi aveva molto colpito il fatto che l’autrice raccontasse della sua esperienza e dicesse come la realtà (psichica) che lei incontra è molto differente da quella che legge nei testi di psicoanalisti occidentali (nuovi sintomi, border-line ecc); la realtà che lei incontra è molto più simile ai sintomi che incontrava Freud nella Vienna di un secolo fa. A dimostrazione di come l’inconscio sia allo stesso tempo qualcosa di molto intimo e privato ma allo stesso tempo indissociabile dalla società in cui ci si trova a vivere.
Manifesti stradali
Ho fotografato un manifesto con il volto di una bambina velata e la scritta: è una protezione, non una limitazione. È troppo sperare che quella bambina sorridente abbia la possibilità di crescere in un mondo che la lascia libera di scegliere le sue eventuali protezioni, senza limitazioni?
*Marina Severini è psicoanalista, grande lettrice, appassionata di viaggi (ed è mia amica da sempre, p.c.)
AGGIORNATO IL 23 AGOSTO 2016
sulla chirurgia plastica non saprei ma mi pare normale che in una società che reprime fortemente la sensualità e il corpo sopratutto femminile nella sfera pubblica, il corpo e la sensualità trovino “sfogo” nel privato…a dimostrazione di come certe cose facciano parte di noi e non si possano distruggere.
Oltretutto il misto di attrazione e repulsione per tutto ciò che è “cultura occidentale” è tipico delle società musulmane tanto più se parliamo di una teocrazia come è ancora la repubblica islamica dell’Iran
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sì sono d’accordo, anche se farei una distinzione tra la repubblica islamica e le persone in carne e ossa (e pensieri, e desideri..) che, come ho cercato di raccontare, non rientrano nel cliché.
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Grazie Marina per il reportage che hai pubblicato (e quindi ho potuto leggere).
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Dimenticavo Nelle, foto sembri una perfetta Iraniana!
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grazie a te Silvio, mi fa piacere che l’hai letto e quanto alle foto sì me l’hanno detto in tanti, forse é dovuto al fatto che é stato un viaggio non da turista e questo cambia radicalmente il modo di vivere un luogo altro (nel caso dell’Iran molto ‘altro’ !)
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