Joan Baez all’Arena nel racconto dei più grandi

di Luca Bartolommei

Joan Baez sul palco dell’Arena Civica di Milano il 24 luglio 1970. Questo è l’interno della copertina del vinile. Si può notare come l’immagine sia stata montata con destra e sinistra invertite, la cantante-chitarrista statunitense infatti non è mancina. Foto Picasa. Enez Vaz – WordPress.com

Joan Baez ci ha insegnato negli anni attraverso le sue canzoni ed il suo esempio che prendere una posizione è doveroso. Come descritto nel post di due giorni fa, ha dedicato Forever young di Bob Dylan, cantandola in pieno periodo di lockdown in un video dalla (presumo) cucina di casa, a quelli che lei ha definito gli Eroi della pandemia e ci ha fatto così conoscere il suo pensiero su quanto è successo e succede negli Stati Uniti.

Scrivendo le mie considerazioni su quel video ed il suo contenuto, mi sono ricordato del fatto che sono da poco trascorsi cinquant’anni dal suo famoso concerto tenuto all’Arena Civica di Milano il 24 luglio 1970. Io non ho assistito alla serata, va bene essere liberi e libertari, ma a dodici anni scordatelo proprio di andare, anche se con gli amici più grandi, perdipiù in motorino… in due… discorso chiuso, punto.

Questa è una breve cronaca di quella notte di musica fatta un po’ attraverso i racconti di chi c’era e un po’ facendo finta di esserci stato io, anche se con i calzoni corti… Continua a leggere

«Alla popolazione del Vietnam unito. Avevo torto. Perdonatemi»

di Maria Elena Sini

In questo modellino i Cu Chi tunnels, la complessa ed estesissima rete sotterranea nella quale i Vietcong si rifugiavano e organizzavano le azioni di guerriglia contro l’esercito americano. È tra i luoghi della storia più visitati del mondo e Maria Elena Sini, che ci è stata da poco, ce ne parla in questo reportage (immagine da https://vietnamnews.vn/travel/travellers-notes/466589/cu-chi-tunnels-named-among-top-7-underground-destinations.html#QZwe0vy5UIydK4oE.97)

Dopo la visita alla reggia-mausoleo di Khai Dinh, il penultrimo imperatore del Vietnam, Maria Elena Sini ci guida nel Museo dei residuati bellici di Ho Chi Minh City e nel labirinto dei Cu Chi tunnels, la fortezza sotterranea dove fu organizzata la resistenza contro gli Stati Uniti.

Una visita in Vietnam, per una persona della mia generazione, cresciuta nell’epoca delle manifestazioni contro la guerra, nutrita da film come Il Cacciatore, Full Metal Jacket, Apocalypse Now, Platoon non può prescindere da un approfondimento sulla guerra che funestò questo paese per più di dieci anni. I vietnamiti da tempo hanno smesso di coltivare risentimento verso gli antichi nemici che sterminarono tre milioni di compatrioti.

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In Vietnam, alla corte dell’imperatore a cui l’amante spagnolo fece conoscere Gaudì

Testo e foto di Maria Elena Sini

Da oggi, 1° settembre 2019, partiamo per un lungo viaggio intorno al mondo tra città, natura, storia e opere d’arte. È d’obbligo farci guidare da Maria Elena Sini, viaggiatrice per eccellenza di Donne della realtà, che anche oggi stimola la nostra curiosità e la nostra voglia di conoscere con un originale reportage dal Vietnam, Paese dal quale è da poco tornata. Questa è la prima parte, buona lettura.

Dettaglio delle ceramiche che rivestono le pareti del mausoleo dell’imperatore Khai Dinh, penultimo imperatore del Vietnam, nei dintorni di Huè che fu la capitale del Paese asiatico dal 1802 al 1945. Tutte le foto di questo reportage sono state scattate da Maria Elena Sini, che ringraziamo.

Del viaggio in Vietnam porterò con me i colori dei mercati, il profumo dei fiori di frangipane, la sontuosità della natura lussureggiante e il misticismo degli edifici religiosi che nel tumulto della vita moderna ispirano lentezza e contemplazione. Ma non voglio parlare della bellezza di questo Paese e delle tante ragioni per cui merita una visita, in particolare voglio raccontare una storia che mi ha colpito, che affonda le radici nel passato, ma forse è collegata al presente e ai costumi di vita del Vietnam più di quanto si possa immaginare.

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Figli e padri a scuola di sogni

di Luca Bartolommei

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Aleppo. Bambini. Quasi sorridenti. Potremo mai insegnargli a nutrirsi dei nostri sogni? Chissà quali saranno i loro. Foto http://www.BBC.com

È quasi Natale e siamo tutti buonissimi, quindi pensiamo a cose belle, carine, anche tenere.

Questa canzone è da cantare insieme, con le amiche e gli amici del liceo, allora eravamo figli, ora qualcuno è genitore, e tocca lavorare. Le acustiche, Roberto Nespoli con la 12 corde, la versione di 4 way street, le tre voci, insomma, era un inno. Ma non dimentichiamoci i ragazzi, i bambini, eh no, anche loro devono partecipare al “Teach your children” di Natale, cerimonia che si ripete annualmente, nelle case di qualche nostalgico… così com’era per il “Blue Monk” di fine anno.

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Itala Vivan, la prof che ha fatto sbarcare la 500 in America (ben prima di Marchionne)

di Itala Vivan*

Nel 2017 la mitica 500 compie sessant’anni: possiamo unirci ai festeggiamenti con un ricordo specialissimo. (Foto da: https://www.facebook.com/pg/fiat500clubitalia/photos/?ref=page_internal)

Fu nel 1961 che io andai in America in 500. E come fu? Beh, per caso. Avevo appena comperato una 500 bianca con gli ultimi spiccioli di una imprevista eredità e amavo intensamente la mia piccola stupenda vettura decapottabile, quando vinsi una borsa di studio Fulbright per andare a studiare Comparatistica in un programma di PhD negli Stati Uniti. Sebbene l’università non fosse quella che avevo chiesto – mi assegnarono all’università di Lawrence nel Kansas – decisi di accettare comunque.

L’idea di andare in America era troppo attraente, e avevo voglia di continuare a studiare. Gli amici erano entusiasti della mia avventura, anche perché a quell’epoca ben pochi andavano laggiù, e meno ancora ci andavano a studiare, soprattutto se erano squattrinati. Ma c’era un problema: che fare del “carretto” (così era stata battezzata la mia 500)? Non mi rassegnavo all’idea di disfarmene o lasciarla a casa, perché era diventata la compagna fedele delle mie gite e dei miei viaggi, il mio giocattolo preferito.

Finì che tra gli amici ve ne fu uno che trovò la soluzione, e me la fece spedire gratis a New York. Gli armatori Costa di Genova contribuirono così alla felicità di una ragazza che amava sì lo studio, ma adorava le automobili e si incuriosiva dei motori.

La 500 bianca targata Milano sbarcò prima di me sulla riva americana, e una volta scesa dalla “Leonardo da Vinci” – la nave ammiraglia italiana di quegli anni – io andai a ritirarla al deposito. Gli scaricatori del porto di Newark che mi accompagnarono non la finivano più di prendermi in giro: avevano issato la 500 su un’alta terrazza da cui dominava un esercito di immense, lussuose macchine americane luccicanti di pinne e cromature e fanali pazzeschi, e la sollevarono come fosse un bimbo piccolo, facendola dondolare, e raccomandandomi di darle spesso il biberon.

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“Imagine” il giorno degli avanzi a Central Park

Testo e foto di Alba L’Astorina da New York

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Nei miei ricordi di quando vivevo a Napoli, il giorno successivo a Pasqua, la Pasquetta, è sempre stata una giornata delirante. Bellissima, per carità, salutare! Chiunque decida di uscire dalla propria casa e godere di una giornata di moto all’aria aperta fa una cosa a mio avviso buona. Solo che nel giorno della Pasquetta vigeva per i napoletani una sorta di obbligo a trascorrere la giornata fuori casa che, come è possibile immaginare, rendeva molto affollate le località classiche verso cui tutti si dirigevano: Ischia, Procida, il bosco di Capodimonte, il monte Faito, la spiaggia di Miseno, e intasava di traffico le strade per raggiungerle. Ovunque si andasse, la giornata aveva per tutti un clou comune: il consumo degli avanzi del cibo di Pasqua, che non erano mai parchi: casatielli, tortano, ricotta salata, salame, uova sode, cioccolato e, ovviamente, la pastiera napoletana!

La nostra Pasquetta al Central Park di New York è stata decisamente più sobria e incentrata sul nutrimento dello spirito piuttosto che su quello del corpo; niente pastiera, casatiello e abboffate post feste, al massimo un hot dog o un gelatino presso i venditori ambulanti che si trovano nel parco. E soprattutto niente imbottigliamenti nel traffico, perché New York è una città dove ci si muove con facilità e a costi contenuti con i mezzi pubblici, sia che si vogliano percorrere brevi distanze, sia che ci si voglia spostare verso Long Island, Coney Island o a Brooklyn sull’Est River, ad est di Manhattan. Continua a leggere