«Cara signora Vecchiottina, non riuscirò mai a eguagliare la sua cocciutaggine»

di Eliana Ribes*

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Eliana Ribes e il marito Silvano Fazi nella Biblioteca Mozzi Borgetti di Macerata dove, il 6 dicembre scorso, hanno presentato il loro libro in dialetto “Per quanti fjuri caccia ‘m prate”. Basato sulle lettere che il nonno di Eliana inviava alla giovane moglie dal fronte della prima guerra mondiale, il libro verrà presentato domenica 18 dicembre alle ore 17 anche nel Teatro comunale di Urbisaglia (Mc).

Cara signora Mariagrazia,

con quanta grazia e leggerezza è passata per il mondo, ma anche con quanta forza e determinazione! L’amore per la vita, l’entusiasmo di fronte alle cose belle, la tenerezza dei sentimenti traspare da tutti i suoi ricordi e dalla realtà presente.

Con tutta sincerità le dico che ho provato un po’ di invidia per tutto l’affetto e le attenzioni che le sono state riservate nell’infanzia, per tutte le cose belle di cui ha goduto durante l’adolescenza e la gioventù, ancor di più per la complicità che riceveva da tutte le donne di casa, addirittura dalla mamma, così aperta e intelligente da capire che i sensi di colpa generano solo insicurezza e frustrazione.

In queste fasi la nostra vita è stata nettamente diversa perché nei paesini delle Marche la vita era tanto più modesta, i genitori più disattenti perché dovevano “tirare a campare” per tutte le lunghe ore della giornata, la mentalità più ristretta, soprattutto nei confronti delle figlie femmine, sempre con l’attenzione rivolta a quello che la gente poteva dire o pensare.

Io ho diciotto anni meno di lei ma ricordo le passeggiate in macchina dei fidanzati con la madre seduta sul sedile posteriore; addirittura al camposanto mi è capitato di vedere i fidanzati avanti con la madre che camminava alcuni passi indietro. Io e il mio ragazzo, per fortuna, avevamo solo la Vespa, e nessun altro poteva salirci, tutto il percorso si svolgeva “allo scoperto”!

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Ebe e la Vespa, una storia d’amore

di Mario Chiodetti

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Mario Chiodetti sulla “sua” Vespa. Lo ringraziamo per averci affidato questa bellissima dichiarazione d’amore nei confronti della sua “mamma in Vespa”

La prima Vespa di mia mamma fu una 125 “faro basso” del 1952, di quel verde acido metallizzato che faceva pensare a un coleottero, una grossa cetonia ronzante con un manubrio quasi da bicicletta a sostituire le antenne. L’acquistò a Gavirate, dall’Ossola, uno dei primi rivenditori Piaggio del circondario, che dopo tante Guzzi vendute si era incaponito a puntare su quella strana motoretta con le ruote come le gambe di Charlot, progettata da uno che si intendeva di aeroplani e avrebbe rivoluzionato il modo di muoversi dell’italiano nel dopoguerra.

A mamma luccicavano gli occhi quando parlava della sua prima Vespa, che noi bambini non vedemmo mai se non in qualche vecchia fotografia, perché fu venduta prima del matrimonio, come il “Galletto” di papà, che in quel 1958 già viaggiava in “Topolino”. La mamma in Vespa per noi manteneva un’aura di leggenda, conoscevamo le sue imprese dai racconti, sapevamo che si era spinta anche molto lontano da Varese, a volte era andata perfino al mare, in Liguria, facendo qualche tappa e scollinando dal Passo dei Giovi.

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Ebe Rosa-Brusin, giovane e deliziosa, in sella alla Vespa 125 faro basso

Con lei c’era spesso l’amica Jolanda, le univa la voglia di libertà e di emancipazione, in quegli anni ’50 di grande energia e voglia di crescere. La mamma leggeva le “Meduse” di Maugham e Daphne du Maurier, ascoltava il Duo Fasano e Achille Togliani, si faceva cucire vestitini a pois dalla Olga, lavorava alla Banca d’Italia e la domenica si metteva il caschetto di pelle e volava, a settanta l’ora, sulle strade ancora impolverate della periferia, fino a vedere il mare.

La Jolanda la conosceva dalle elementari, poi avevano frequentato le magistrali, fatto le adunate delle Piccole Italiane con flessioni e coreografie con cerchi e nastri, quindi un po’ di università: filosofia mamma, l’Isef la Jolanda, che sarebbe diventata l’incubo delle ragazze del ’68 come insegnante di ginnastica al liceo classico di Varese. L’impiego in banca però era più allettante, così la Ebe abbandonò la Statale e prese la strada del grembiule nero e degli occhiali da cat woman, allora di gran moda, e io bambino, la manina in quella nodosa di mio nonno, andavo ad aspettarla all’uscita del vasto edificio in pietra scura che pareva una cassaforte.

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«Mia madre, un fiore di campo in Vespa»

di Mario Chiodetti*

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La varesina Ebe Rosa-Brusin è stata una delle prime donne italiane ad andare in Vespa. La foto, postata su Facebook dal figlio Mario Chiodetti, è stata scattata da Jolanda, l’amica con cui Ebe condivideva i suoi viaggi

La Vespa compie 70 anni! Mia mamma fu una delle primissime donne ad averne una, la 125 faro basso, acquistata a fine 1952. Qui la vediamo in gita sul lago di Garda (con tanto di limoni) e bardata da montagna a Locarno, diretta al Gottardo, il 16 agosto 1953. Allora doveva essere una meraviglia girare in Vespa per l’Italia e la Svizzera, poco traffico, luoghi ancora splendidi, caldo nella norma, gente educata e ospitale. Un altro mondo, e sono passati soltanto 63 anni… W la Vespa, e lunga vita!

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Locarno, 16 agosto 1953: Ebe al tour del Gottardo

* Mario Chiodetti, varesino, è giornalista, scrittore, fotografo, appassionato d’arte, collezionista e musicista (anni fa l’ho sentito esibirsi, tra l’altro, in un assolo di fischio…). Ha postato queste splendide foto di sua madre in Vespa e io gli ho chiesto se potevo pubblicarle sul nostro blog e farle vedere a un pubblico ancora più vasto. Ottenuto il suo sì, ho chiesto a Mario di darmi anche delle informazioni per le didascalie su quella fortunata donna che lo ha messo al mondo.

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Ebe e le meraviglie di un’atmosfera italiana che non c’è più

E lui mi ha scritto questo: «Le didascalie son presto fatte: tutte le fotografie, tranne quella dove lei è di spalle con il caschetto di pelle in testa, sono state fatte dalla sua amica Jolanda, con la quale partiva per i viaggi in Vespa, lungo la strada per Sirmione. Quella, invece, come ho scritto su Fb, è stata scattata il 16 agosto 1953 a Locarno, mentre mamma stava compiendo il tour del Gottardo con altri vespisti. Mia mamma si chiamava Ebe Rosa-Brusin, era nata a Varese nel 1923, amava la libertà come me, e quando si è sposata è appassita come i fiori di campo senz’acqua».

(p.c.)