di Maria Luisa Marolda
Una madre e una figlia, Cesira e Rosetta, e l’orrore dello stupro. Ecco i brani dal romanzo “La ciociara” di Alberto Moravia, scelti e commentati per noi da Maria Luisa Marolda, figlia della bellissima Teresita Fantacone, violentata – come centinaia di altre donne – dai “goumiers” del Corpo di spedizione francese durante la seconda guerra mondiale a Esperia, in provincia di Frosinone.

Maria Luisa Marolda è nata ad Ancona ma vive a Roma. Sua figlia, Tessa Canella, è tra gli autori della “Storia mondiale dell’Italia” curata da Andrea Giardina per le Edizioni Laterza
L’episodio dello stupro si svolge nella chiesa del paese di Cesira, dove madre e figlia sono giunte cercando un luogo amico. Lo spettacolo della devastazione della chiesa è, anche per il lettore, una introduzione alla violazione dei corpi e delle anime delle due donne. Ma è sulla giovane ed innocente Rosetta che si percepisce l’acme drammatico della profanazione, come ci arriva attraverso il dolore insanabile della madre.
«Poi udii un urlo acuto, era Rosetta, e allora cercai con tutte le mie forze di liberarmi per correre in aiuto di Rosetta, ma lui mi teneva stretto e io mi dibattei invano perché lui era forte e con tutto che gli puntassi una mano sul mento, spingendogli indietro il viso, sentivo che lui mi trascinava all’indietro, verso un angolo in penombra della chiesa, a destra dell’ingresso. Allora gridai anch’io, con un urlo ancora più acuto di quello di Rosetta e credo che ci mettessi tutta la mia disperazione non soltanto per quello che mi stava succedendo in quel momento ma anche per quello che mi era successo fin allora, dal giorno che avevo lasciato Roma. Ma lui, adesso, mi aveva acchiappato per i capelli, con una forza terribile, come se avesse voluto staccarmi la testa dal collo, e sempre mi spingeva all’indietro così che, alla fine, sentii che cadevo e caddi, infatti, a terra, insieme con lui. Adesso lui mi stava sopra; e io mi dibattevo con le mani e con le gambe; e lui sempre mi teneva fissa la testa a terra contro il pavimento, tirandomi i capelli con una mano; e intanto sentivo che con l’altra andava alla veste e me la tirava su verso la pancia e poi mi andava tra le gambe; e tutto a un tratto gridai di nuovo ma di dolore, perché lui mi aveva acchiappato per il pelo con la stessa forza con la quale mi tirava i capelli per tenermi ferma la testa. Io sentivo che le forze mi mancavano, quasi non potevo respirare; e lui, intanto, mi tirava forte il pelo e mi faceva male; e io, in un lampo, mi ricordai che gli uomini sono molto sensibili in quel posto e allora andai anch’io con la mano al ventre e incontrai la sua; e lui, al contatto della mia mano, credendo forse, chissà, che gli cedessi e volessi aiutarlo a prendere il suo piacere con me, subito allentò la stretta così al pelo come ai capelli, e anche mi sorrise, di un sorriso orribile sopra i denti neri e rotti; e io, invece, stesi la mano di sotto, gli acchiappai i testicoli e glieli strinsi con quanta forza avevo. Lui allora diede un ruggito, mi riacchiappò per i capelli e mi battè la testa, a parte dietro, contro il pavimento con tanta violenza che quasi non provai alcun dolore ma svenni.