Salvatore e Alessandro Quasimodo, il figlio si riprende il palcoscenico

di Maria Elena Sini

Lettera-recensione su Assolo sul padre. Il teatro della vita, la famiglia dietro il Nobel (Aletti 2019), in cui Paola Ciccioli ha reso in forma di monologo gli inediti racconti privati di Alessandro Quasimodo.

Cara Paola,

ho trascorso domenica pomeriggio in compagnia di Assolo sul padre, uno squarcio sulla vita privata di un genio, ma, come dice il figlio “un analfabeta affettivo” che  “l’impatto con la profondità dei sentimenti  lo ebbe grazie all’incontro con mia madre”. Emergono aspetti  insospettabili  del poeta Salvatore Quasimodo per chi ne ha sempre avuto quell’immagine un po’ borghese che traspariva dai suoi sottili baffi neri, da  quel suo vestire composto e accurato, con il borsalino in inverno e con il cappello di paglia in estate. Mi pare che questo libro, con una documentazione preziosa, consenta un confronto tra padre e figlio che forse non è stato possibile quando il poeta era in vita. Finora molti di noi conoscevano solo l’immagine pubblica del poeta, che dopo aver avuto una serie di  occupazioni come impiegato riuscì ad affermarsi con la sua poesia sino a diventare quel monumento onorato  e riconosciuto in tutto il mondo tanto da essere insignito del Premio Nobel per la letteratura.

Illustriamo la recensione di “Assolo sul padre” a cura di Maria Elena Sini con l’immagine dell’impronta e degli scritti autografi di Salvatore Quasimodo che sono stati rinvenuti nella biblioteca Acclavio di Taranto. Un rinvenimento salutato dalla città pugliese come segno di buon auspicio per la proclamazione della capitale italiana della Cultura che avverrà domani 18 gennaio 2021 (Foto da http://www.laringhiera.net)

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«Ho una laurea in Economia, ma sono felice di aver potuto virare su qualcosa di più umano»

di Giorgia Farace

Giorgia Farace

Giorgia Farace si presenta: il racconto del suo viaggio a Taranto, pubblicato ieri, era il suo primo post sul nostro blog. Questa bella foto, che mettiamo grande per la bellezza del colore del cielo che fa bene al cuore in giorni così tristi per le notizie dal mondo, è quella del suo profilo Facebook. Qui è sul San Bernardino, nel Cantone dei Grigioni, in Svizzera

Sono seduta alla scrivania. Insieme con la mia responsabile, mi occupo della formazione dei medici in specializzazione e della formazione del personale amministrativo del Cardiocentro di Lugano. Nel 2014 ho conseguito la laurea in Economia, materia in cui però mi riconosco poco. Perciò sono felice di aver potuto virare su qualcosa di più “umano”.

La mia passione è la danza classica, disciplina che ho ripreso quest’anno dopo dieci anni di attività e dieci lunghi anni di stop. Ci è voluto molto coraggio per riavvicinarsi alla sbarra.
Amo viaggiare. Non lettini e spiagge. Ma persone e luoghi. Parlare con chiunque abbia voglia di raccontare anche solo un pezzo del luogo in cui sono. Percorrere strade secondarie e cercare l’autenticità del posto.

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A Taranto, città in affanno che tenta di difendersi da sé stessa

di Giorgia Farace

«Molti edifici sono pericolanti. Sembra di camminare in una città bombardata, la cui unica linfa sono le voci delle persone che alcune di queste case ancora le abitano», aveva osservato Giorgia Farace quattro anni fa, di ritorno dal suo viaggio a Taranto. È di oggi – 18 giugno 2020 – la notizia che la città pugliese, il cui nome è purtroppo legato agli effetti nocivi causati alle persone e all’ambiente dalle sue acciaierie, dalla prossima settimana alle fermate dell’autobus avrà dei cartelli con indicazioni dettagliate sui preziosi reperti custoditi nel Museo archeologico nazionale di Taranto.

Una ragione in più per riproporre questo articolo di Giorgia Farace.

Ecco i pannelli che i tarantini troveranno dalla settimana prossima in 30 fermate dell’autobus: «Le foto digitali saranno collocate con sostituzione semestrale e saranno corredate di didascalie che inviteranno a prendere visione diretta all’interno del museo del singolo reperto, del quale è indicata l’esatta collocazione (sala e vetrina)» https://www.laringhiera.net/taranto-le-foto-dei-reperti-storici-alla-fermata-del-bus/

Accolta da due grandi colonne doriche, mi immagino di essere sulla soglia di scavi antichi, di echi storici, di siti archeologici. Mi ritrovo invece a scoprire una Taranto fatta di piccole vie. Dove la storia e le origini della città respirano affannosamente il poco ossigeno che resta al di sotto del cemento che ricopre la via romana. Ho visto una città vecchia (perché è così che ce l’ha definita un suo abitante: vecchia perché è lì che si è sviluppata, dai greci in poi. Non è un borgo – nucleo di case all’esterno delle mura cittadine, accezione che tentano di darle in tanti) fatta di nuove speranze. Una città vecchia dove nei secoli la storia si è stratificata su altra storia. Dove una civiltà ha ricoperto la precedente, ricostruendo palazzi, templi, chiese, strade, cunicoli, con le pietre e i materiali delle devastazioni precedenti.

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