di Angela Giannitrapani

Due scatti di Angela Giannitrapani sull’incontro con Maria Rosa Cutrufelli, coordinato da Vittoria Longoni, alla Casa delle donne di Milano. A dialogare con la scrittrice anche Laura Lepetit, fondatrice della casa editrice “La Tartaruga”
Avevo diciotto anni ed ero affamata di storie. Ma non di storie qualsiasi.
A quel tempo, verso la fine degli anni Sessanta, noi ragazze si viveva in una specie di vuoto. Ben pochi, allora, erano i libri che si preoccupavano di testimoniare, documentare o addirittura provare la nostra esistenza nella Storia. A un certo punto però, (difficile stabilire esattamente «quando») cominciammo a stufarci di questa faccenda, cioè di non possedere un passato. Anche se, in compenso, proprio la Storia – qualcuno preferiva parlare di Natura – ci aveva rifornito di un bel piedistallo su cui troneggiare: la famosa «femminilità». Ma qui si apriva una contraddizione. Perché, Storia o Natura, il fatto è che ciascuna di noi, pur essendo in modo incontestabile una singola entità, si trovava poi a far parte di un insieme, una specie di splendido e ancestrale organismo collettivo chiamato appunto «La Donna». Poesie, canzoni, film, romanzi… Chi mai poteva sostenere che quella «Donna» vivesse in un vuoto? Quante, ma quante opere dedicate a Lei, ispirate da Lei, che ragionavano di Lei, che la svelavano a se stessa! Che altro c’era da aggiungere a tutto quel ben di Dio?
Mi sentivo un po’ confusa. Non sapevo che pensare. Però, sicuramente qualcosa non tornava: avevo l’impressione che il mito della «Donna» non corrispondesse affatto alla vita e all’esperienza delle «donne». Pensa e ripensa, giunsi alla conclusione che quel magnifico singolare era in realtà un dono avvelenato, capace di annullare con il suo peso le nostre varie e «plurali» esistenze. E allora, poiché non volevo più vivere immersa in una femminilità senza tempo, senza volto e senza voce propria, cominciai a cercare, nella Storia, le storie. Divenni una «pescatrice di vite perdute». Così scrive Don De Lillo in quella meraviglia di romanzo che è Underworld: «le donne sono pescatrici di vite perdute».[…]Noi, ragazze di fine anni Sessanta, all’improvviso o forse no, in qualche maniera, non so come, diventammo crocerossine di noi stesse. E, di conseguenza, pescatrici di vite perdute.