Misteri romani

di Mariagrazia Sinibaldi*

Dovevo andare a trovare una mia cara amica di gioventù che abita, dice lei, a Roma, e io dico a Torrimpietra.

Visto che qui a Roma tutto è problema, ho cominciato con un certo anticipo a raccogliere informazioni circa il viaggio da compiere per poterla raggiungere; e viste le precedenti e deludenti esperienze con lo “06060606 servizio al cittadino”, ho chiesto alla mia amica quale potesse essere il modo più semplice per arrivare fino a lei. Mi sembrava la cosa più logica da fare (lei abita là, dunque saprà): ma pare che la logica non sia di questa frazione di mondo. La mia amica, ovviamente, non sa niente ma si informerà.

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«Amato smart, di notte quanto ti butterei dalla finestra…»

di Mariagrazia Sinibaldi

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Camera di Mariagrazia, interno notte. Concentratissima, la nostra amata senior blogger ha superato varie traversie ed è tornata a raccontarci le avventure del suo alter ego. E, proprio ieri, è arrivato un bastimento carico di altre cento copie fresche di stampa di “È come vivere ancora”, il libro curato dall’Associazione Donne della realtà che raccoglie una selezione dei “primi” post di Mariagrazia Sinibaldi. Appuntamento sabato 3 dicembre 2016 nella Biblioteca civica di Cologno Monzese per la presentazione (questo bel ritratto è di Francesco Cianciotta, suo figlio)

La signora Vecchiottina raggiunse il suo letto barcollando dopo 24 ore vissute in maniera non proprio rocambolesca ma certamente difficile difficile difficile. Oh Dio, siamo giusti, la nostra Signora tendeva sempre ad esagerare un po’… anzi un po’ più che un po’, ma questa volta la signora Vecchiottina sentiva di avere ragione: e che diamine! «Vorrei vedere – disse la nostra dentro di sé (ché non sentisse il figlio nella stanza accanto) – Sì, vorrei proprio vedere un’altra vecchietta come me, attraversare indenne 24 ore come queste ultime mie!». Si arrestò perplessa! Era certo la prima volta che si autodefiniva con una parolaccia di tal genere ma era così maledettamente stanca da non avere nemmeno la forza di ribellarsi a sé stessa. Guardò il letto comodo e bello che suo figlio le aveva messo a disposizione. In un lampo, in un flash, le si ripresentarono vivide le ultime 24 ore.

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All’Argentiera leggere e con la benedizione di Freud. La versione di Maria Elena (2)

di Maria Elena Sini

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La meraviglia dei colori dell’Argentiera nello scatto di Maria Elena Sini

Io e Mariagrazia, da quando ci siamo conosciute un paio di estati fa, ci teniamo in contatto attraverso Facebook, dato che tra Milano e la Sardegna c’è di mezzo il mare, ma ogni volta che lei viene a Sassari, patria d’elezione di uno dei suoi figli, riusciamo a vederci.

Questa volta l’occasione è stata determinata dalle vacanze di Pasqua e dopo un aperitivo in centro, nel corso del quale abbiamo avuto l’opportunità di vedere sfilare una delle processioni di Pasqua, abbiamo deciso di fare una gita nel giorno di Pasquetta, data canonica dedicata alle uscite fuoriporta.

Marco,  suo figlio, ha proposto di andare all’Argentiera e io ho aderito con grande piacere perché è una località tra le più suggestive della Sardegna per la particolare bellezza e varietà del paesaggio caratterizzato da montagne di pietra argentata che lambiscono la costa. Si tratta di un vecchio villaggio minerario in cui l’attività estrattiva è cessata nel 1963 e attualmente tutti gli impianti e gran parte delle abitazioni, costruite in un particolare stile con le pietre del luogo, sono in disuso e in stato di abbandono. Continua a leggere

Se in un giorno di festa due blogger della realtà all’Argentiera. La versione di Mariagrazia (1)

di Mariagrazia Sinibaldi

Mariagrazia e Maria Elena insieme all'Argentiera (foto  di Marco Cianciotta)

Mariagrazia e Maria Elena insieme all’Argentiera (foto
di Marco Cianciotta)

Tre erano le mete tradizionali per l’ancora più tradizionale gita fuori porta nel giorno di Pasquetta, a Roma, quando ero piccola io:

1) l’Appia Antica, fuori porta San Sebastiano, a raccogliere margheritine, che poi arrivavano a casa tutte smosciate, ma messe in un bicchiere con l’acqua si riprendevano e duravano qualche giorno… Mi chiedo, oggi, perché in un bicchiere… ma tant’è… a casa mia si usava così.

2) i Castelli Romani dove si trovavano le “fraschette” tipici locali en plein air con lunghi tavoli con tovaglie di carta e panche dove venivano offerte (pagando s’intende) fave freschissime, colte lì per lì, pecorino romano con la lacrima e la coccia nera. («Mariagrazia leva la coccia, diceva Mamma, ché è fatta col sapone e la cenere») e vino locale che scendeva giù per la gola verso lo stomaco, delizioso come acqua di fonte, ma quando ti alzavi… non ti alzavi… perché le ginocchia non reggevano più… era arrivata la ciucca.

3) Monte Mario al di là del Tevere (Nonna alzava gli occhi al cielo, con fare drammatico) dove si arrivava con un sferragliante tranvetto e dove c’era un posto (non posso definirlo altrimenti) come al solito con lunghe panche e tavoli, senza tovaglia questa volta, e con un grande cartello: “SI ACCETTANO CLIENTI CON CIBI PROPRI”… e lì i romani si sbizzarrivano in grandi teglie di paste al forno.
Ogni volta che pensavo a questi posti così tipicamente romani, mi prendeva sempre un senso di nostalgica malinconia.
Ma quest’anno no.
Quest’anno ho passato la Pasqua a casa di Marco in Sardegna : ha cucinato lui, da gran chef, minestra stracciatella, abbacchio con i carciofi legati con l’uovo e limone, puntarelle condite con salsetta di alici aglio limone e olio… uovo di cioccolato e colomba… mancava la pizza col formaggio… ma insomma, contentiamoci… per il resto le tradizioni sono state rispettate.
Il giorno di Pasquetta abbiamo fatto la gita di prammatica che è stata la più emozionante che mi potessi immaginare. Continua a leggere