Ma quante dee coabitano dentro di noi?

di Alba L’Astorina

L’immagine scelta da Alba L’Astorina per questo suo interessante post è “Il giudizio di Paride”, opera del 1638 del pittore fiammingo Pieter Paul Rubens (1577-1640), custodita al Museo del Prado di Madrid (https://www.museodelprado.es/en/the-collection/art-work/the-judgement-of-paris/f8b061e1-8248-42ae-81f8-6acb5b1d5a0a?searchid=ff0ea7bb-ca00-c375-5f6b-470540ec333e)

Mi è successo, leggendo il libro di Jean Bolen Le dee dentro la donna, qualcosa di analogo a quello che mi è capitato con Donne che corrono coi lupi di Clarissa Pinkola Estés: di riconoscermi in alcuni caratteri femminili di miti e fiabe e di scoprire che quei tratti peculiari mi accomunano a tante altre donne di tutti i tempi. Per dirla con Jung, di cui la Bolen è una allieva, ho scoperto che gli “archetipi”, cioè i modelli di comportamento istintuali in molti personaggi mitologici, che riconosco come miei, mi rendono partecipe di un processo più grande ed universale che lo psicologo austriaco definiva “inconscio collettivo”. Continua a leggere

«La mia giornata ha un senso anche se vedo soltanto girare il sole»

di Eliana Ribes

Lida Bullorini Ribes in una intensa immagine della sua gioventù a Maestà di Urbisaglia. Anche adesso, che ha 94 anni, vive nel piccolo centro marchigiano dove è nata, come ha raccontato ieri la figlia Eliana e come leggiamo in questa seconda parte della sua storia (immagini dall’archivio privato della famiglia dell’autrice del post)

Adesso che anche tutti i nipoti sono cresciuti ed è diventata bisnonna, mia madre attende alle cose che gli anni, novantaquattro, e la salute le permettono di fare. Cura, nella bella stagione, il piccolo giardino e la pulizia del cortile, cucina, segue i programmi televisivi a lei più congeniali, un po’ legge e un po’ cuce o lavora a maglia. La coltivazione dell’orto le è stata vietata da noi figli perché la zappa e la vanga non giovano certo alla sua schiena e le procurano sbandamenti di testa; lei, però, a cipolle, agli, sedani, e altre erbe aromatiche non rinuncia e quest’anno ha trasferito le piantine in una striscia di terra adiacente al muro di casa , di cui sorveglia la crescita dalla finestra della cucina. Qualche colpo di testa, veramente, ogni tanto lo fa, come quando d’estate non resiste alla tentazione di cogliere i fichi maturi salendo sulla pianta con una lunga scala, con il pericolo di rompersi l’osso del collo o, più probabilmente, il femore. In quel periodo, allora, è meglio batterla sul tempo, raccoglierli tutti e farne piazza pulita, perché nemmeno le minacce più severe servono a dissuaderla dal piacere di quella operazione fatta in prima persona, con cui ha sempre accontentato parenti e amici.

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Che Storia è questa?

di Angela Giannitrapani

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Illustriamo la riflessione di Angela Giannitrapani con le immagini di tre libri presentati alla Casa della Memoria di Milano, cominciando da “Aliyah Bet – Sciesopoli, Il ritorno alla vita di 800 bambini sopravvissuti alla Shoah” di Anna Scandella (Edizioni Unicopli). Giannitrapani è l’autrice di “Quando cadrà la neve a Yol, Prigioniero in India” (Tra le righe libri), basato sui diari del padre

La Storia la sappiamo tutti. La Seconda guerra mondiale la conosciamo solo dai libri di scuola. La saggistica ha provveduto, certo, ad approfondire questo o quell’aspetto ma resta il fatto che, se non siamo ultraottantenni, di quella guerra abbiamo in mente ciò che è rimasto dai testi ufficiali. Gli ultraottantenni, bambini e adolescenti di allora, sanno molto di più. Per conoscere, infatti, basta informarsi ma per sapere, per cercare di capire credo sia necessario altro. Coloro che l’hanno vissuta quella guerra la sanno sulla pelle, nelle suggestioni, nei ricordi, in certi timori di oggi, in una fame inestinguibile. Quei brevi flashes, che ancora ci sanno mandare come lampi sui loro ricordi, sono squarci di tragedia privata che più dei proclami e dei bollettini ufficiali ci aiutano a capire. Ma è fatale perdere questo tipo di testimoni e con loro la fisicità e la corposità della testimonianza.

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Ma che Gender di educazione è questa?

di Roberta Valtorta

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«La gender theory (o ideologia del gender) non esiste poiché non è mai stata teorizzata da nessuno», spiega la nostra Roberta Valtorta in questo interessantissimo approfondimento. Psicologa abilitata, Roberta sta svolgendo il dottorato di ricerca in Psicologia sociale all’università di Milano Bicocca (illustrazione dalla pagina Facebook dell’Associazione Italiana di Psicologia)

Allo stato attuale, una delle prime cose che mi viene in mente se penso alla teoria del gender è la definizione di “confusione” data dal Garzanti: «Confusione [con-fu-ʃió-ne]. Mescolanza disordinata di cose o persone; caos, scompiglio.»

La causa principale di questo mio personale disorientamento immagino derivi dal fatto che, sebbene si parli di “teoria”, la gender theory (o ideologia del gender) non esiste poiché non è mai stata teorizzata da nessuno. L’(ab)uso di tale espressione nasce dalle frange più estreme della destra religiosa per indicare il nemico da combattere, una lobby gay che vuole imporre il proprio stile di vita alla società. Tutto ciò ha del grottesco, soprattutto se si considera che l’espressione “ideologia del gender” non fu usata in origine dalle destre religiose, ma dai loro critici per sottolineare l’attuale asimmetria di potere tra gli uomini e le donne nel mondo occidentale.

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La dolcezza di Eliana, una eccezione in questi tempi tormentati

di Mariagrazia Sinibaldi

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Sabato 3 dicembre 2016, presentazione di “È come vivere ancora” nella Biblioteca civica di Cologno Monzese. Da sinistra: Marilena Cortesini, direttrice della Biblioteca, Eddo Ferrarini, volontario del progetto “Nessuno escluso”, Mariagrazia Sinibaldi, nostra blogger e autrice del libro, Paola Ciccioli, presidente dell’Associazione Donne della realtà (lo scatto è di Francesco Cianciotta)

Mia cara Eliana,

quando lei nasceva e si agitava piccola piccola nella culla, io mi iscrivevo all’università, avevo e avevo avuto i miei giovani corteggiatori, e mi preparavo ad entrare nel mondo dei “grandi”. Diciotto anni sono tanti e io dall’alto dei miei (quasi) 83 mi permetto di darle del tu e desidero che anche tu lo faccia. Considerami, ti prego, non come una mamma (le mamme non si toccano) ma come una (ormai) vecchia zia.

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