Pippinetta e il capolavoro del dialetto

di Piero Feliciotti

Ci stiamo mettendo in cerchio attorno all’aròla, per usare il vocabolario di Giuseppina Pieragostini, e fare festa al suo “Il Vanto e la Gallanza. Il paese dei contadini raccontato nella lingua dell’origine” (Pentàgora) di cui la scrittrice parlerà a Roma sabato 20 gennaio, alle ore 18, nella Chiesa di Sant’Eligio dei Ferrari. Accolte dal Centro Studi Marche e con la partecipazione dell’Associazione Donne della realtà, racconteranno l’importanza di questo libro Marta Fattori, professoressa emerita di filosofia, e Letizia Carducci, esperta di “contadinanza”. Ma prima di cedere loro la parola, con grandissimo piacere facciamo un passo indietro e “riascoltiamo” la bellissima presentazione fatta a Macerata dallo psicoanalista Piero Feliciotti, membro del Forum italiano del Campo Lacaniano. 

Mario Giacomelli, “Paesaggio”, 1953/1963 (http://www.mariogiacomelli.it/)

È l’epopea dei Pieragostini, “li Sgattù ”, secondo il soprannome di famiglia. Mingu de Sgattò e La Mercanda sua moglie, stavano a li Pippieti con i loro dieci figli. Una famiglia di mezzadri di cui si racconta la vita durissima di fame e de tribulà, tanto precaria che potevano, da un momento all’altro e a piena discrezione del padrone, ricevere “la disdetta” ed essere cacciati dal podere.

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Canzonette di massa e di governo

di Giovanni Sabbatucci e Vittorio Vidotto*

Maria Callas durante le vacanze a Ischia nel 1957 (foto dal diario Facebook di Jose Luna). La grande soprano fece il suo debutto in palcoscenico nel 1939 al Teatro Olympia di Atene nel ruolo di Santuzza nella “Cavalleria Rusticana” di Pietro Mascagni, che prese la tessera del Partito nazionale fascista nel 1932 (http://www.treccani.it/enciclopedia/pietro-mascagni_%28Dizionario-Biografico%29/)

Consapevole di quanto le motivazioni ideologiche e culturali fossero importanti ai fini del consenso, il fascismo dedicò un’attenzione tutta particolare al mondo della cultura e della scuola. La scuola italiana era stata profondamente ristrutturata, già nel 1923, con la riforma Gentile: una riforma, ispirata ai princìpi della pedagogia idealistica, che cercava di accentuare la severità degli studi e sanciva il primato delle discipline umanistiche (considerate come il principale strumento di educazione delle élites dirigenti) su quelle tecniche, relegate a una funzione nettamente subalterna. Una volta consolidatosi, il regime si preoccupò di fascistizzare l’istruzione sia attraverso il controllo dei libri scolastici e l’imposizione, dal 1930, di «testi unici» per le elementari. Nel complesso il corpo docente si adattò senza grosse resistenze alle direttive del regime: anche se la fascistizzazione fu spesso superficiale, dal momento che molti insegnanti, formatisi nel clima culturale di prima della guerra, continuarono a svolgere il loro lavoro come avevano sempre fatto, senza concedere al fascismo nulla più che un’adesione generica.

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