E finalmente capiamo quel che cantiamo

Testo e traduzione di Luca Bartolommei

Giustizia e pace. Insieme. Ma potrebbero non bastare se non cambierà l’atteggiamento di ognuno di noi nei confronti degli altri, dei nostri vari prossimi. Questo il messaggio che ci arriva dalla canzone di oggi. Justice and peace. Together. That might not be enough if our personal approach with others won’t change, if our attitude towards any of our neighbours won’t change. This is the message we get from today’s song. Foto da http://www.radiofujiko.it

E torniamo a parlare dei bei tempi andati, in milanese definiti i temp indree o meno elegantemente l’epoca del Carlo Codega anche se in fondo di anni non ne sono poi passati così tanti…

Chi mi legge e mi conosce sa bene quanto io abbia amato e ami tuttora la musica non italiana, le canzoni che arrivavano da Oltremanica se non da Oltreoceano, insomma le canzoni cantate in lingua inglese. La musica è qualcosa di immediato, emozionale, ascolti e sai subito se ti piace o meno quel genere, quel gruppo o quella cantante. Il problema che mi ponevo da ragazzino era quello di capire che cosa dicessero i testi, quindi spendevo molto del mio tempo a tradurre quelli degli LP che a tremilacinquecento lire cad. (ma in Magenta da Bigi e Buscemi costavano duemilaseicento, e vi assicuro che non era un risparmio da poco) stavano cominciando a formare la mia discoteca personale. Continua a leggere

Un’estate di musica, ragazze che cantano e ragazzi che crescono

di Luca Bartolommei

A Fano nel vecchio borgo dei pescatori c’è un vicolo che prende il nome da el Gugùl, una particolare rete da pesca che ormai non si usa quasi più. La viuzza parte larga e va stringendosi, proprio come quel particolare attrezzo. La città negli anni è cambiata, come è normale che sia, ma in quella zona del porto possiamo ancora trovare qualche atmosfera dei tempi andati. Il mio racconto delle vacanze giovanili trascorse alla Sassonia e dintorni termina qui e mi è sembrato giusto lasciare Fano con un’immagine che parlasse dell’importanza di avere delle radici, delle tradizioni, una storia. La Fano romana, i Malatesta, il Carnevale, per carità, tanto di cappello, siano il vostro orgoglio care e cari fanesi, ma lasciatemi partire con un saluto alla fatica e al lavoro di generazioni di pescatori e marinai che alla vostra (ma anche un po’mia) città hanno dato tanto. Sembra che tra poco potremo ritornare a muoverci e a pensare addirittura alle vacanze… chissà se, insieme a me, anche a qualcun altro verrà la voglia di passare qualche giorno a Fano e dintorni. Se poi, leggendo questo e gli altri post sull’argomento, di cui trovate i link in fondo all’articolo aveste dei ricordi simili da condividere fatecelo sapere. Provvederemo.

El Gugùl, nel borgo storico dei pescatori fanesi, fotografato da Ramona Neri.

L’anno non è importante, la cosa certa è che l’infanzia era finita. Non più la casa in viale Adriatico 5, non con l’intera famiglia, basta bancarelle e giocattoli, fine dei giochi sulla sabbia, la sera dopo cena non si gioca più a nascondino.
Ero a Fano con mia nonna Elia e basta. Stavamo praticamente di fronte alla casa di prima, eravamo infatti alla pensione Sassonia, stessa aria, stessa gente ma tutto diverso. Ero cresciuto, eravamo cresciuti. Incontri l’amico che l’anno prima (forse anche un paio d’anni prima) era, sebbene più grande di te, un fanciullo e vedi che è diventato un giovanotto, infatti tiene un po’ le distanze. Al trampolino rivedi quella ragazzina “de Terni” (la d e la t si pronunciano con la punta della lingua che spinge contro l’arco palatale…) e noti che ha tutte le cose al suo posto, come si dice a Milano, e il fatto che ti chiami per nome ti conforta per il prosieguo della vacanza. Al chiosco della Maria Giulia non guardi più il calcio-balilla o il flipper ma ti accorgi (c’era anche prima, però…) del juke-box. Continua a leggere