La solidarietà che guarisce il mondo

di Maria Elena Sini

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Un’immagine da “Miracolo a Le Havre” del regista finlandese Aki Kaurismäki. Il film è inserito nella rassegna “Kaurismäki in 35 mm” presentata da Fondazione Cineteca Italiana allo Spazio Oberdan di Milano dal 22 maggio al 4 giugno 2017. In programma 13 film, compreso l’appena uscito “L’altro volto della speranza” (http://oberdan.cinetecamilano.it/eventi/cineteca-70-in-35mm-aki-kaurismaki/)

Durante le feste la televisione ci ha propinato film traboccanti di buoni sentimenti: se siamo stati fortunati ci è toccato “La vita è meravigliosa“ di Frank Capra, che viene rispolverato per ogni Natale, se ci è andata male ci siamo beccati film melensi e stucchevoli su renne ferite, alberi di Natale consegnati in ritardo, regali smarriti etc…

Ma, per caso, facendo zapping da un canale all’altro, ho visto su Rai 5 il perfetto film di Natale, una favola moderna con una tematica attuale, che senza retorica e senza enfasi, con uno stile minimalista affronta il problema della clandestinità. “Miracolo a Le Havre” di Aki Kaurismäki è ambientato nella città portuale che dà il titolo al film, dove uno scalcinato lucida scarpe, Marcel Marx, con un passato di scrittore bohémien, entra casualmente in rapporto con un giovane migrante africano, Idrissa, arrivato dentro un container e sfuggito ai controlli della polizia che lo cerca. L’uomo, la cui moglie nel frattempo ha scoperto di avere una malattia che le lascia poco da vivere, si prende cura del ragazzo e cerca di fargli passare la Manica per raggiungere la madre in Inghilterra, facendo rete con i suoi amici del quartiere e cercando di eludere le attenzioni del commissario Monet. Marcel e Idrissa non hanno niente in comune, solo il senso della propria vita marginale e minacciata: l’uomo dalla paura di restare solo e il ragazzo dal fallimento del viaggio che doveva portarlo a Londra.

La denuncia sociale di “Miracolo a Le Havre” sta nella contrapposizione tra Marcel e i suoi amici, persone semplici che però si mostrano subito pronte ad aiutarlo e sostenerlo una volta conosciuto il suo piano per far arrivare il ragazzo in Inghilterra, e un sistema politico e giudiziario cieco e meccanico, nel quale però fortunatamente esistono ancora anticorpi d’umanità d’altri tempi. D’altri tempi infatti è tutta la comunità che abita intorno al porto e d’altri tempi è il commissario, una figura con una grande carica morale, implacabile nell’arrestare i criminali ma generoso con gli indifesi.

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Che gioia la musica. Che dolore non aver potuto suonare alla Scala (perché alle donne era vietato)

di Mirella Ciancetta*

Mirella Ciancetta, 95 anni, in una foto e, sotto, in un video di Luca Bartolommei durante l’intervista che la violista ha rilasciato il 16 febbraio 2017 a Paola Ciccioli nella Casa Verdi di Milano. Dove oggi, 10 ottobre, ha pregato e brindato con le bollicine, insieme con gli altri ospiti, al 204esimo anniversario della nascita del Maestro

MUSICA: GIOIA E DOLORE. Così posso definire la mia avventura musicale, iniziata a dieci anni con l’iscrizione al Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino.

Qui incomincia l’ansia e il desiderio di mostrare ai miei genitori che in me ci sono l’attitudine e la musicalità necessarie per essere ammessa al corso di violino dopo i due anni di prova.

Evviva! Ci sono riuscita!

Anno dopo anno, sotto la guida esperta del prof. Ballarini, ottengo il diploma di violino con la “Lode Meritevole del Premio Antonio Boasso” (Anno Accademico 1945/1946); al tempo stesso termino con profitto il corso di pianoforte complementare e gli oltre dieci anni di danza classica con la deliziosa insegnante e ballerina signora Sara Acquarone.

A questo punto, dato il meritevole diploma conseguito, vengo inserita direttamente nell’orchestra del Teatro Regio di Torino e, come viola da me pure studiata, altresì nell’Orchestra da camera Collegium Musicum diretta dal Maestro Bruni.

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