Fuori dalla finestra Milano, dentro “un disperato bisogno di debolezza”

di Francesca Duranti*

Milano, autunno 1989

Il settimo racconto è autobiografico e non ha titolo. Potrebbe anche essere scritto in corsivo.

La vicenda comincia nel punto dove ho terminato l’ultima stesura della Carezza di Dio e ho dato alla macchina l’ordine di stampare.

Sono uscita sul terrazzo e mi sono seduta su una poltrona a sdraio posta a metà strada tra il crepitio della stampante, proveniente dallo studio, e il canto dei merli, che saliva dal terrazzo della signora Imposimato. Cullata dall’effetto stereofonico ho ripensato alle notti invernali sul treno della Cisa, agli arrivi alla Stazione Garibaldi deserta, all’attesa del taxi, alla consolazione di arrivare finalmente nella soffitta di Mina.

Mina è toscana come me ed è stata mia compagna all’università: è stata, per meglio dire, la mia unica compagna di università. Io, già da matricola, ero sposata con Carlo e aspettavo Nicola. Il bambino è nato in agosto, a metà strada tra Diritto Romano e Istituzioni di Diritto Romano. In seguito avevo un bambino piccolo e poco tempo da perdere. Così non frequentavo molto le lezioni e meno che mai partecipavo agli impercettibili movimenti studenteschi o alla intensa vita goliardica di quegli anni. Ero un’estranea che andava a dare gli esami in un posto dove tutti mi erano estranei e tutti si conoscevano tra di loro.

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Arrestata per tentato omicidio la donna che aveva accusato il marito di essere un violento

di Paola Ciccioli

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“Médée furieuse” di Ferdinand-Victor-Eugène Delacroix (Charenton-Saint-Maurice 1798 – Parigi 1863). Ho scelto questa rappresentazione di Medea per illustrare il post perché credo che un dibattito completo e intellettualmente onesto sulla violenza debba includere la violenza che a volte anche le donne esercitano. A cominciare da quella psicologica sui figli.

La madre che ho incontrato per caso il 14 agosto nella Milano semideserta è stata arrestata. E in un carcere minorile è ora rinchiuso anche il ragazzo di 17 anni che, secondo l’accusa, avrebbe tentato di uccidere il marito della donna, ingaggiato a questo scopo proprio da lei.

Tentato omicidio.

La svolta è di qualche settimana fa ma ho aspettato di parlare con l’avvocato del marito prima di scriverne sul blog. E dare conto più nel dettaglio del capovolgimento della situazione, di cui ho peraltro già informato chi ci segue, fermo restando che la tremenda imputazione è ancora tutta da provare processualmente.

Lei non ha compiuto quarant’anni e ha messo al mondo tre figli, ancora minorenni.

Il suo sfogo, lucido e senza lacrime, era cominciato alla fermata dell’autobus che fa il giro della circonvallazione interna di Milano. Io avevo appena lasciato il mio dentista, lei arrivava da un noto ospedale della città dove ha sede anche un centro che assiste le donne vittime di violenza domestica.

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