Testo e foto di Paola Ciccioli
“Ben tre riviste furono totalmente dedicate al razzismo, ma soprattutto all’antisemitismo: «La difesa della razza», che nei primi anni tirò fino a 150.000 copie (anche se queste poi calarono sensibilmente), «Il diritto razzista» e «Razza e Civiltà», alle quali collaborarono illustri studiosi dell’epoca. Ma il regime non si limitò certo a questi strumenti comunque d’élite. I quotidiani tutti non tralasciavano occasione per pubblicare articoli più o meno lunghi, sia di fondo che di cronaca, a contenuto brutalmente antisemita”.
Così scrive Ugo Caffaz in questo libretto sulle leggi razziali fasciste del 1938, edito dal Consiglio regionale della Toscana 50 anni dopo la loro funesta emanazione e ristampato nel 2003. Ha fatto parte di una essenziale biblioteca da viaggio fornita alle studentesse, agli studenti, ai giornalisti e agli accompagnatori diretti con treni speciali della Memoria da Firenze ad Auschwitz.
Soltanto per dire che il razzismo imposto addirittura con le leggi non si cancella dalla Storia con una apparizione televisiva, per quanto “confezionata” (confezionata va bene?) attingendo a un diploma in lingue e in vista di una decisiva scadenza elettorale.
Tanto più che parte del vocabolario utilizzato durante la dittatura fascista per umiliare, isolare, escludere e deportare la minoranza ebraica è oggi rintracciabile – a destra – in slogan, urla, parole d’ordine, articoli di carta e sul web che hanno come bersaglio le persone immigrate.
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