di Patrizia Carrano
Dal nuovo libro della scrittrice, giornalista e sceneggiatrice Patrizia Carrano, La bambina che mangiava i comunisti (Vallecchi, 2022), un estratto dall’ultima parte intitolata “Autunno”. Lo pubblichiamo con il consenso dell’autrice, alla quale vanno i nostri complimenti e il nostro grazie. #siscrivedonna

Patrizia Carrano nella sua casa di Roma con l’ultimo degli oltre venti romanzi che ha scritto nel corso della sua brillantissima carriera (foto di Giliola Chisté).
«Tu bravissima a stare molto ferma. Ancora una piccola mezza ora e io finito miei schizzi. Molto bella tua testa disordinata, con capelli vivi, e piccolo naso che punta la luce. Alza lo sguardo verso vetrata…».
Elisabetta non ha mai visto una signora anziana vestita come Antonietta: pantaloni larghi, maglione lungo, un gilet, i capelli legati da un nastro rosso sulla sommità della testa… Quando è venuta ad aprire la porta aveva una crema bianca sul viso, e ha subito detto: «Credevo arrivavi fra mezza ora, un momento che lavo mia faccia…».
Un istante dopo è tornata con il viso pulito e quella sua pelle chiara, perfetta, anche se segnata. Ha spiegato, mentre prendeva i fogli per gli schizzi, di aver fatto «piccolo impacco di nutrizione, con yogurt, miele e poco olio di oliva. Fa bene, non costa, pelle è felice. Io non amo trucco, pittura va su tele, su carta, su muri, non su viso. Qualche volta un po’ di rosso sulle labbra, ma niente altro».
La mamma ha accolto la rinnovata richiesta di Antonietta Raphaël, incontrata all’inaugurazione di una nuova galleria d’arte dietro piazza del Popolo «io molto felice di disegnare piccola bimba con rossi capelli», e qualche giorno dopo l’ha portata nello studio di Antonietta a Monteverde.
Elisabetta ha subito accettato, perché l’entusiasma l’idea di avere un disegno che la ritragga come una principessa di Andersen, o come la bella Vassilissa. Ma ora, seduta da più di un’ora su uno sgabello piazzato su una piccola piattaforma, è annoiata, e soprattutto molto infreddolita per via che indossa solo mutande e canottiera.
Antonietta lavora svelta, energica, concentrata, ma all’improvviso smette. «Pomeriggio diventato troppo freddo per te. Tu tremi, così spogliata».
In un momento la piccola si trova avvolta in una coperta pesante, con in mano un bicchiere pieno fino all’orlo di un tè profumato e buonissimo. A casa dei Carcaterra il tè veniva servito nelle tazze di una porcellana molto fine, «di Limoges!» si gloriava la signora. Però non sapeva di molto, e l’unica ragione per cui valeva la pena berlo erano i pasticcini, sempre buonissimi. Questo invece è ambrato, con qualche fogliolina che s’intravede nel fondo del bicchiere. È uscito da un samovar russo e per questo le sembra ancora più buono.
«Quando sei arrivata in Italia?» domanda curiosa.
«Ero giovane ragazza lituana, venivo da Londra, mi interessava arte di questa città. Conosciuto un pittore di nome Scipione, poi Mafai. Nata nostra amicizia e dopo due anni nata anche Miruccia, nostra prima figlia».
Elisabetta non ha più freddo: le piace quella signora che sembra dare del tu al mondo. È forte, è potente, è magica. «Antonietta, tu mi sembri una Baba-Jaga, e nessuna donna vuole essere definita come una strega con la gamba d’osso.
Ma Antonietta scoppia in una risata allegra e la stringe sul suo seno vasto. «Come fai a conoscere mio piccolo soprannome di famiglia lituana? Tu sai che Baba-Jaga vive in isba che gira su zampe di gallina?».
Quando, trafelata per il ritardo, la mamma arriva assieme a Giovanni, trova Elisabetta al settimo cielo: ha finalmente conosciuto una Baba-Jaga in carne e ossa, di quelle buone che fanno magie e regalano tè profumati. La mamma la ascolta intenerita. Non ha l’aria contenta che le viene di solito negli studi degli artisti, anche se Antonietta le regala un suo schizzo, pescato da una cartella scovata con fatica in un angolo. «Questo posto non giusto per me e soprattutto per mie sculture. Forse entro in una cooperativa di artisti, per costruire nuovo studio vicino Orti della Farnesina. Con la banca parlerà Mafai, perché io mai voluto avere conto o libretto di assegni. Non mi piace e non voglio fare neanche adesso».
La mamma prende il disegno a china, sussurrando: «Alla fine può servire, avere un uomo vicino».
Antonietta fa un gesto lieve nell’aria sorridendo: «Mario è fragile… Non tutti uomini sono forti».
(…)