di Daniela Palumbo*
«Anche io lo amo assai». Mi ha risposto così Daniela Palumbo quando le ho scritto che il suo libro Le valigie di Auschwitz (Edizioni Piemme, 2011) mi ha fatto battere forte forte il cuore. La shoah raccontata dalla parte dell’infanzia, il male assoluto delle leggi razziali e della persecuzione degli ebrei vissuto con la pena di bambine e bambine che, da un giorno all’altro, si vedono espulsi dalla normalità, dagli affetti e dalla vita. Ringrazio Daniela Palumbo per averci dato il consenso per la pubblicazione di questo estratto e ricordo che sul nostro blog abbiamo già parlato del bellissimo Fino a quando la mia stella brillerà, scritto con la senatrice a vita Liliana Segre e uscito alla fine del 2021 in una nuova edizione per Il Battello a Vapore. (Paola Ciccioli)

Scrive Daniela Palumbo nel prologo, descrivendo il campo di sterminio di Auschwitz, diventato un museo: «Nella stanza numero 4 del blocco 5 c’è un lungo vetro che separa il visitatore da migliaia di valigie ammassate l’una sull’altra. Una montagna di borse vuote, tutte diverse: vecchie, rotte, strette, larghe, rattoppate, di cartone, eleganti, di stoffa, di pelle…». L’illustrazione di Clara Battello è tratta dall’edizione 2011 de “Le valigie di Auschwitz” che abbiamo letto grazie alla collaborazione delle Biblioteche di Bellano e di Mandello del Lario (Lecco).
Il giorno dopo Émeline si svegliò tardi. Quando si alzò, trovò la mamma e il papà in cucina. La madre stava cucendo la stella di David sulla giacca di Émeline. Erano silenziosi. Non come la sera prima, quando lei era rientrata di nascosto e li aveva sentiti discutere ancora. Il silenzio fino a poco tempo fa era un perfetto estraneo nella sua casa, ma da un po’ Émeline ci stava facendo l’abitudine.
-No, io non la metto, mamma. Non voglio che mi riconoscano e mi portino in prigione.
-Il papà ha ragione, Émeline. Dobbiamo avere pazienza e sperare che i tedeschi vadano via al più presto. Intanto però dobbiamo obbedire. È l’unico modo che abbiamo per sopravvivere.
-No, mamma! Ma non capisci? È un modo per riconoscerci e poterci prendere quando vogliono. Sono furbi i tedeschi.
-Basta, Émeline! – intervenne papà Pierre in modo brusco. – Non abbiamo chiesto il tuo parere, non puoi decidere tu, a sette anni, cosa è giusto e cosa non lo è. Cuciremo la stella sua giacca e tu la indosserai. E questo è tutto.
-Va bene, papà – rispose la bambina. Ma continuò a pensare che stava facendo un favore ai tedeschi.
Il tragitto da casa a scuola fu una sofferenza per Émeline. Molti la indicavano come se si trattasse di un animale raro. Altri la evitavano, come se fosse pericoloso anche solo salutarla. Qualcuno però le sorrise e una signora strinse le mani a suo padre. Lui le fece un largo sorriso come se la conoscesse da tanto tempo. «Ma questo significa lo stesso che siamo diversi, papà» pensava Émeline. E non le piaceva nessuna delle reazioni che seguivano alla vista della stella gialla cucita sul braccio come un marchio.
A scuola andò meglio. Le sue maestre l’avevano accolta con un sorriso più grande del solito, e anche i bambini non dimostravano di fare caso alla stella. Tutto sembrava normale ed Émeline si dimenticò della stella. Però, quando uscirono in giardino per la ricreazione, avvenne un fatto che rese Émeline la bambina più triste e sola del mondo.
(…)
*Daniela Palumbo è una delle cinque autrici alle quali Paola Ciccioli ha chiesto di partecipare al progetto #siscrivedonna di cui verranno date maggiori informazioni non appena la crisi pandemica consentirà di fare affidabili programmazioni.
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