di Laura Pariani*
Il 15 gennaio 2022 Paola Ciccioli e Luca Bartolommei tornano con #iocantoeleggomilano (questa volta nella Biblioteca Harar), un recital letterario e musicale nato come omaggio al Gruppo #ioleggomilano nel quale vengono discussi esclusivamente libri sul capoluogo lombardo. Come Milano è una selva oscura di Laura Pariani (Einaudi, 2010) di cui – con il consenso dell’autrice – possiamo offrirvi un estratto riguardante la canzone popolare La povera Rosetta.
Guidato dal suono di una fisarmonica, il Dante gira il cantone. Sotto la pergola accanto al circolo «Libertà», sta il Gazzella, un senzagambe che il Dante ha incontrato spesso a suonare agli angoli delle strade con un repertorio di mamme in gramaglie, capinere a mezzanotte, care piccine e balocchi… Fa una certa impressione guardarlo sulla sua tavoletta a rotelline: pare venir su dal marciapiedi come da una botola, un Farinata nanetto con le gambe imprigionate sottoterra. Oggi, con la sua bella voce da tenore, canta:
Il tredici d’agosto,
in una notte scura,
commisero un delitto
gli agenti di questura.
Han ammazzato un angelo
di nome la Rosetta,
era di piazza Vetra,
battea la colonnetta.
Ohèla, ‘l mè Gazzella, ma lo sai che ai mè tempi questa l’era ‘na canzôn proibida?
Epperché? Mica l’è sconcia.
Certo che no, ma dicevano che l’era contro l’ordine pubblico: che le regie guardie ci facevano una brutta figura… Mí, quel fatto lí della Rosetta, me lo ricordo: seri on bagài. Lei l’era ‘na tôsa che stava di casa dalle parti del Carrobbio: la cantava in un caffè-concerto dietro piazza Beccaria, e l’è diventada famosa con una canzonetta che s’intitolava Scarlíga. Poi, a tempo perso, dicono che facesse anca il negozio della passerina, ma quello l’è il destino di chi l’è figlia del niente o del molto poco.
La faccia del Gazzella cola sudore. Mugugna, si gratta un’orecchia da cui sporge un cespuglietto di lunghi peli scuri, poi il collo irto di vene. Infine passa a sfregarsi quello che resta delle gambe mozze; sospira:
Pizzíga. L’è semper inscí quand ‘l voeur cambià el temp.
Essí, oggi c’è afa, non dirlo a me, ché on òmm da settant’ann l’è sémper maraa anca quand l’è san.
Stavi dicendo della Rosetta.
Giusto… Succede che una sera d’agosto la stava col sò amante dentro un’osteria, ndôe andavano tutti quelli che nella malavita ci sbirbavano, perché sia ‘l sofradèll sia ‘l somoròso eran due gratta-gratta. L’éeren lí a fà i sò spassi, tranquilli perché c’era sempre uno per strada che faceva il palo e avvertiva cantando:
Tíret dénter che non gh’è dübi,
che voleva dire che la situazione l’era liscia tame l’oli. O al contrario, quando si approssimava una guardia:
Alza la gamba che i vègnen de foeura.
Ma quella sera lì, porco sciampín, il palo era bevuto. Inscí, a l’imprevista arrivano i ciappa-ciappa. Chi scappa de lí chi scappa de là, lei è rimasta con il fratello che l’era zoppo e mica poteva squagliarsela… L’era bella, la Rosetta: io ho visto la fotografia sui giornali. La bocca carnosa, quasi sfacciada, le sopracciglia ben marcate, braccia paciaròtt da morsicarle: un po’ come la Ines, quella biondona che bazzicava le colonne di San Lorenzo fino all’anno passato.
S’è sposata con un impiegato delle poste, ma lui l’era on gelosàsc come on gatt soriàn e gh’ha daa ona cordellada.
Non mi dire. Le robe di sto mondo balòss. Ona bona crappetta inscí che se mett cont on gelosôn… Ché dicono che la natura l’è dona saviezza esemplare e la sa come regolarsi. Falso. La natura l’è né savia né tonta, fa solo quel che la pò e la va a rimorchio della vita di ciaschedún. E s’ciào.
Allora la Rosetta?
Già, la Rosetta… Te dèvet savè che c’era una guardia, on musôn bassitalia, che alla Rosetta le voleva cantare la canzone dello stallone, ma lei gli aveva sempre risposto picche. Combinaziôn, tra le guardie che quella sera circondano lei e sofradèll c’è proprio lui, che ricomincia a inzigarla:
Se passi la notte con me, io ci faccio mettere una pietra sopra e lascio libero tuo fratello.
E con questo lui pensava d’avègh già l’oeuv sòtt alla polla.
Al che, lei pianta sui fianchi le mani poggiandole alla rovescia e gli risponde:
Piuttosto che andàgh insèmma a ‘na guardia a voo sotto ‘l tren.
Allora quell porch fottuu s’è messo a gridare:
Avete sentito cosa ha osato rispondermi sta vacca? Oltraggio a pubblico ufficiale!
In quattro e quattr’otto han tirato fuori dalle daghe e giú botte da orbi che non ti dico. E, una volta che lei è caduta per terra sotto le piattonate, hanno continuato; infine l’hanno caricata su un brum e l’han portada in questura per continuàgh il trattamento. Risultato, il mattino dopo l’era bell’è morta.
Oh Signôr… E allora?
*A proposito di Milano è una selva oscura di Laura Pariani, su Facebook Paola Ciccioli ha scritto: «Davvero notevole questo libro che attraversa Milano nei primi 69 anni del secolo breve e violento con i passi di Dante A. Lingéra, abbandonato in fasce sui gradini di San Simpliciano, libraio sconfitto, barbone che ha in sé le ferite non rimarginate della guerra e del terrorismo. Scritto in una lingua mista di italiano e dialetto, ha tra le righe una colonna sonora in milanese di cui l’autrice dà conto nella nota finale».
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