di Victoria Squillante
«Scusami? Non puoi fare questo, mi dispiace»: la giornalista sportiva Greta Beccaglia, 27 anni, è all’esterno dello stadio di Empoli. Fa freddo, è buio, lei è in collegamento con lo studio di Toscana Tv per i commenti del dopo partita Empoli-Fiorentina. Un tifoso – poi identificato in Andrea Serrani, 45 anni, di Chiaravalle (in provincia di Ancona) – si sputa sulle mani è poi mena con forza un colpo sul sedere della telecronista. Così. Come se Greta Beccaglia non fosse una persona, non fosse una donna. Il conduttore dallo studio minimizza – «non te la prendere» – altri tifosi si avvicinano, uno ferisce con il turpiloquio, un altro, sempre davanti alla telecamera che continua a riprendere, si permette persino di sfiorarle le parti intime. «Nessuno mi ha aiutata», dirà poi la vittima di questa aggressione, avvenuta in diretta e ad appena 48 ore dalla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, in un tripudio di scarpe e panchine rosse che sembrano non intaccare però la presa di coscienza collettiva su cosa siano davvero gli abusi di genere.
Quel giorno, il 25 novembre, nella 5E del Liceo Tito Lucrezio Caro di Roma la studentessa diciottenne Victoria Squillante arriva e legge una sorta di appello alle compagne e ai compagni. Grazie al suo docente di materie letterarie, lo storico Gianluca De Sanctis, e con il consenso della stessa allieva, pubblichiamo una parte dello scritto e, di seguito, il racconto della reazione della classe e la descrizione delle fonti alle quali la liceale attinge per formarsi come donna consapevole. (a cura di Paola Ciccioli)
Ogni 24 ore 89 donne sono vittime di reati di genere e, se quasi la totalità di esse non denuncia, forse significa che il sistema giuridico italiano non le fa sentire tutelate perché, in fondo, che si tratti di stupro, violenza o qualsiasi altro tipo di crimine, si arriva sempre ad un’attenuante e ci ritroviamo di fronte a
sentenze vergognose.
Ecco, vedendo tutto questo una ragazza di 18 anni si sente incazzata, tradita da un paese che dovrebbe tutelarla in quanto cittadina in primis e poi come donna. Si sente impotente e non pronta ad affrontare una società in cui dovrà omettere di volere un figlio per cercare di realizzarsi professionalmente per poi subire, come il 70% delle donne, discriminazione sul lavoro; una società in cui, al ritorno da una cena, non potrà permettersi di prendere un autobus senza avere la consapevolezza di poter essere importunata con attenzioni non richieste. Un paese in cui un assorbente, fino a poco tempo fa, non era considerato un bene primario, ma di lusso, come se potessimo scegliere se avere o no le mestruazioni, e così l’elenco potrebbe continuare all’infinito.
Ma poi si sente anche invisibile perché, in fin dei conti, tutto ciò non sembra fare molto scalpore. Alla fine, nessuno ci sente, fin quando non ne viene toccato. A tutti i politici, i parlamentari, i deputati, dei quali 8 su 630 si sono presentati per ascoltare le parole della ministra delle pari opportunità e della famiglia Elena Bonetti, ecco, proprio a loro, vorrei chiedere: se qualcosa del genere capitasse a loro figlia, moglie, nipote o amica e a lei fossero destinati 90 centesimi e un centro antiviolenza non sostentato dallo stato, se non se la sentisse di denunciare perché sa che non le crederebbero o perché i processi non porterebbero ad una giusta condanna, come reagirebbero?
Forse ci avrebbero dovuto pensare prima perché ora come ora la nostra unica opzione, che lo stato ci costringe a scegliere, è affidarci a un monopattino*. È vero, abbiamo pari diritti, ma riceviamo davvero pari considerazione?
Ma come è arrivata Victoria Squillante alle sue riflessioni?
Mi sono avvicinata alla tematica e alle battaglie del femminismo da qualche anno ormai e mi aggiorno sulle vicende, che riguardano la condizione della donna in Italia oggi, principalmente attraverso il lavoro e l’incessante impegno di autrici e attiviste nel campo dei diritti delle donne. Carlotta Vagnoli, inizialmente sex columnist e poi attivista, content creator e autrice, utilizza i social network come veicolo di informazione in modo molto efficace per la mia generazione. Proprio lei ha condiviso un post di mamo_mareamorada, altro spazio di informazione su temi sociali, che riportava il dato da cui sono partita. Successivamente ho ricercato altre informazioni su testate giornalistiche come il Corriere della sera e La Repubblica, che, in occasione del 25 novembre, hanno pubblicato articoli dove si riportano statistiche e numeri, che ho trovato abbastanza preoccupanti.
Inizialmente ho scritto di getto qualche riga sulle note del mio telefono, poi, arrivata a scuola, dove era stato affisso uno striscione in occasione della giornata contro la violenza sulle donne, ho scelto di condividere le mie parole con la classe, come abitualmente facciamo da qualche mese. Infatti, è ormai pratica comune che, all’inizio dell’ora di italiano, chi lo desidera legga agli altri un breve testo poetico o in prosa di un autore famoso, o anche, come nel mio caso, uno scritto personale, per discuterne tutti insieme. Poi, i vari testi vengono “postati” sui muri della classe, dando così corpo alla nostra memoria collettiva. Devo dire che quella mattina la reazione, a cui è seguito inizialmente un rumoroso silenzio, suscitato dalla fredda crudeltà dei dati, è stata positiva e si è creata tra noi un’atmosfera di empatia e solidarietà. Esporsi spesso non è facile, ma in questo caso mi ha dato molto (qualcuno si è fermato alla fine della giornata e ha speso per me delle belle parole). Ecco, credo che questo confronto debba tenere vive le nostre coscienze e possa avvicinarci ad una migliore comprensione dell’altro, in un momento in cui tutto, intorno a noi, sembra invece andare nella direzione opposta.
*La studentessa all’inizio del suo testo accenna a un dato sul bonus per l’acquisto di monopattini confrontato con i fondi destinati ai centri antiviolenza nel 2020, ndr.
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AGGIORNATO IL 3 DICEMBRE 2021