Carlo Urbani e il virus (quello del razzismo)

di Carlo Urbani

«Ma credimi, serpeggia un sentimento così fastidioso di razzismo, paura/rifiuto del diverso, superiorità sociale, tra gli stranieri della parte ‘importante’ della comunità internazionale di Hanoi (e qui come altre capitali) che a volte mi prende la nausea a sentire certi discorsi durante feste e ricevimenti. Sono tutti pronti a chiamarsi ‘buoni’ e a condannare razzismo e violenza, ma poi dovresti vedere come trattano le babysitter dei loro figli, o come pagano i loro dipendenti!».

Sono parole di Carlo Urbani, il medico marchigiano di Castelplanio morto a Bangkok nel marzo del 2003 dopo essere stato contagiato in Vietnam dal virus della Sars, la cosiddetta “polmonite atipica” che lui stesso aveva contribuito a scoprire.

Oggi – mercoledì 18 novembre 2020 – l’azienda farmaceutica statunitense Pfizer ha annunciato che il suo vaccino anti-coronavirus è risultato efficace al 95 per cento e non ha avuto effetti collaterali gravi durante la fase 3 della sperimentazione. La notizia che il mondo sconvolto dalla pandemia stava aspettando. Una ragione in più per ricordare e ringraziare quanti, in passato come nel presente, hanno messo la loro intelligenza al servizio dell’umanità.

Carlo Urbani era nato a Castelplanio, in provincia di Ancona il 19 ottobre 1956. È morto a Bangkok, in Thailandia, il 20 marzo 2003 a causa del virus della Sars da lui stesso scoperto (foto di Paola Ciccioli)

In questo brano, tratto dal libro Carlo Urbani, uomo, medico, eroe curato da Simona Mengascini (Cooperativa Emmaus, Provincia di Macerata 2003), il racconto fatto dallo stesso microbiologo di una delle sue prime missioni in Africa.

Andiamo a visitare una scuola di Rosso. Spiegata agli insegnanti la ragione della visita, questi ci accompagnano a visitare una classe. La scena è comune a migliaia di scuole dei paesi più poveri dell’Africa sub-sahariana.

La parete di fronte, tinteggiata di nero, è piena di scritte e di disegni esplicativi. Chiediamo ai bambini chi di loro ha visto la pipì di colore rosso. Una buona metà, dopo le prime esitazioni, alza la mano con un timido sorriso. Il maestro, non soddisfatto, insiste, dicendo che la pipì rossa non costituisce un motivo di vergogna. Così un altro gruppetto si unisce ai primi. Restiamo a lavorare tutta la giornata. Dopo aver esaminato con una tecnica di filtrazione ed esame al microscopio campioni di urine, di tutti i bambini, confermiamo l’allarme dato.

In un villaggio poco lontano da Rosso, Boghè, troviamo una zona dove tutti i bambini hanno ematuria (sangue nelle urine) e, poiché ce l’hanno tutti, nessuno si ritiene malato. Considerando che i bambini iniziano ad infettarsi quando passano parte del loro tempo a giocare nell’acqua, quindi verso i 5 – 6 anni, e che la malattia impiega qualche anno prima di determinare sintomi importanti, è intorno alla pubertà che i bambini cominciano a sviluppare una ematuria visibile ad occhio nudo. Questo fa sì che molti, nelle popolazioni residenti nelle zone endemiche, ritengano che le urine rosse siano un segno dell’avvenuta o incipiente maturità sessuale, un po’ l’equivalente delle mestruazioni nelle femmine! Ma purtroppo non si tratta solo di una questione di colore.

Anzitutto la perdita di sangue contribuisce all’anemia. In queste regioni la malnutrizione, la malaria ed alcuni vermi intestinali costituiscono già importanti fattori di rischio per l’anemia, e il sanguinamento dovuto alla schistosomiasi non fa che aggravare il quadro clinico. Ricordo di aver visto dei bambini seduti in un’aula scolastica (che qui significa sul pavimento) risultare avere 4 gr di emoglobina per decilitro di sangue (i valori normali sono tra 12 e 14, e l’Oms giudica anemico un bambino quando scende ad 11). Un’anemia così grave costituisce una seria malattia, mettendo in pericolo la vita stessa (…).

Come porre rimedio al problema della schistosomiasi in Mauritania? Occorre formare il personale sanitario per metterlo in condizione di conoscere la malattia e saperla trattare, ed educare la popolazione riguardo ai sintomi e alla possibilità di guarigione, qualora sia assunto un determinato farmaco. Nelle scuole si deve insegnare ai bambini a non urinare nel fiume: meglio in brousse, nella savana, se non ci sono latrine. E poi altre strategie, ormai sperimentate e certamente efficaci nel controllare, se non l’infezione, almeno la malattia. Il problema è sempre lo stesso, un ritornello noioso che interrompe spesso i progetti di sviluppo a queste latitudini: la mancanza di danaro.

In Mauritania i problemi con la schistosomiasi sembrano insormontabili e solo il supporto di un donatore esterno (in genere, organizzazioni internazionali o un governo o una Ong) può permetterne la gestione. Proprio in queste settimane, nella regione di Rosso, compreso il villaggio di Tonguene, grazie al supporto di una fondazione tedesca e dell’Oms, è iniziata la distribuzione di praziquantel, un farmaco efficacissimo nel curare l’infezione. Ma per molti altri villaggi in altre regioni o paesi le urine resteranno rosse a tempo indeterminato.

(a cura di Paola Ciccioli)

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