Ho giocato col Pelè

di Luca Bartolommei

Il Pelè, Giancarlo Peroncini, con il suo tollofono. Alla chitarra Nadir Scartabelli. Pelè e Nadir, un duo che fa parte della storia della musica milanese e che tanta ne ha scritta. Foto di Luca Bartolommei

Questa è la cronaca di una domenica di fine estate passata a cantare, ridere, ascoltare aneddoti vari tra amiche e amici più nuovi che vecchi al circolo Arci Pessina di Chiaravalle, a due passi dalla bellissima omonima abbazia, estrema periferia di Milano verso sud, vicino a Metanopoli e altri posti che si chiamano Sorigherio, Macconago piuttosto che Sesto Ulteriano.

Co-organizza Giuliano Mistrangeli, cultore della milanesità che trovate tutti i giorni sul ponte di comando dell’edicola di piazzale Lagosta. Si festeggia il compleanno di un amico, convocazione a mezzo Whatsapp con poche spiegazioni, un po’ tipo La Stangata, insomma bisogna che ci vada, tra l’altro non ci vediamo da un po’… Treno e poi metrò, a Turro saliamo in macchina con Giovanni Manzari (il festeggiato organizzatore) e Riccardo Cingottini. Entrambi li conoscerete meglio via via che la giornata scorrerà. Durante il tragitto si parla di dialetti vari, Giovanni sta facendo un dottorato tardivo sulla lingua pugliese e derivati ma sul milanese è un’enciclopedia, quando arriva una telefonata il cui tono è più o meno questo: «Ohei Giuliano, in dove l’è che te set?», «Siamo verso corso Lodi», «Va ben, però moeves perché el Pelè el gh’ha famm…».

“Pelè” a Milano ha solo due significati. Il primo è il soprannome di Edson Arantes do Nascimiento, calciatore brasiliano che proprio sul campo di San Siro incontrò Giovanni Trapattoni che gli fece vedere le streghe, il secondo è il soprannome di Giancarlo Peroncini, che è quello che aveva fame, protagonista della storia recente di una certa Milano, quella che forse siamo andati a ritrovare a Chiaravalle. Arrivati in orario, ma ai succhi gastrici non si comanda, ci si mette a tavola e ci si presenta ma in fretta, perché arrivano subito i nervitt (spaziali!) con l’antipasto, giusto per il primo brindisi al festeggiato. Giuliano mi aveva detto che ci sarebbe stato anche un amico cantante e suonatore russo, e quando mi trovo davanti un uomo ben messo, di buona stazza, con due mustacchi da kazako come li vedi nei film e gli porgo il gomito, al dì d’incoeu si usa, resto un po’ così quando mi dice con un bell’accento milanese: «Ciao, Giuseppe Trabattoni». Non era lui, il russo…

Non la faccio troppo lunga sul Pelè, è un cantante, intrattenitore, ha “gestito” locali come Le tre Fontane, era una delle anime della Briosca, ha combinato qualche marachella, ha visto nascere e crescere generazioni di artisti, cantanti, teatranti, cabarettisti e musicisti. Ti racconta come Teo Teocoli insieme a Billy Dardes e altri abbiano scritto e composto una canzone che si intitolava El me indiriss per poi venderla al Jannacci per cinchcentmila franch, del Nino (Rossi) e della loro amicizia, e quando qualcuno attacca a cantare non perfettamente I proverbi, brano non proprio da educandato, dice «Ohei, a mì te me la insegnet? Varda che l’ho inventada mì…». Potrebbe continuare per ore, ma anche giornate intere a raccontare, ma preferisce mettersi a cantare accompagnandosi col tollofono, mentre qualcuno di noi che ormai quasi lo circondiamo, a debita distanza, prende la chitarra e segue il maestro, ma piano piano, come vuole lui…

Una latta (tolla in milanese) grande di conserva di pomodoro, un manico di scopa e un po’ di corda per stendere i panni, così è nato il primo tollofono del Pelè. Oggi è costituito dal contenitore di un aspiratutto anni ’70 chiuso con la pelle di un vecchio divano, il manico ha un raccordo metallico per una maggiore ergonomia e per favorire eventuali sostituzioni. Vista infatti anche un’immagine in cui il manico dello strumento è in legno di bambù. Il Pelè pizzica il filo di nailon con la mano destra e muovendo la sinistra fa scorrere il pollice sul detto filo alternando pressioni sul manico a rilasci, anche con pregevoli glissando, e esegue le linee di basso dei brani che canta.

Nadir Scartabelli è un altro protagonista della scena musicale tradizionale milanese e col Pelè forma una coppia, artisticamente parlando, (preciso altrimenti non avete idea di che putiferio di battute si scatena, qui siamo all’osteria…) speciale per affiatamento e facilità di intrattenere il pubblico o gli amici con canzoni, storie e storielle di ogni genere. Poi Nadir tira fuori la chitarra e pennella, solo nel silenzio del pomeriggio estivo, Norma, che sarà sì di Luciano Beretta, ma come la fa lui… Noi zitti e un po’ commossi, Nadir anche. Quelli bravi davvero sono anche simpatici e disponibili e sostengono con simpatia un giovane come Riccardo Cingottini mentre canta Ma poi del Walter Valdi, bravo.

Poi la scena cambia e canta e suona Damiano Ciapa Nò, altro giovane capace, dalla chioma fulva e la voce un po’ nasale che le sa tutte, Giovanni festeggiato non perde un colpo e finalmente ecco Vlad, il sovietico quello vero. Un po’ Umberto Tozzi un po’ Eddie Vedder, Vladimir Trofimov canta in russo, con un timbro vocale pazzesco, con Giovanni che segue benissimo. Il pugliese che canta in russo… ma non è finita, perché il russo canta, e molto bene, in pugliese… Da piegarsi in due quando il Pelè, sotto la canzone russa, attacca a cantare col suo vocione, ma non c’entrava niente «O Natasha, hai fatto tu la piscia…» e plong, plong, plong col tollofono. Finita? Macché, il Trabattoni da Nur-Sultan (ex Astana) si alza in piedi e intona l’inno dell’URSS. In russo. Da ammazzarsi, infatti Nadir tenta un mortale all’indietro da seduto e la moglie lo salva ma quasi ci rimette l’avambraccio… non ci sono più le sedie di una volta.

Marco, anche lui chitarrista canterino, è stato molto tranquillo ma ha partecipato ad ogni canzone, un altro che la sa lunga, laureato con tesi sulla Ligera che voglio assolutamente leggere. Dante e sua moglie Daniela hanno fatto la loro parte… Donne purtroppo in assoluta minoranza, la prossima volta dobbiamo bilanciare meglio, anche perché nelle canzoni la presenza di voci femminili è fondamentale, e poi ridono come solo loro sanno fare.

Il Pelè in formissima a fine giornata. Mi ha appena detto, perdonatemi la vanagloria, “bravo, te m’hee accompagnaa propri ben…”, e per me vale più di una medaglia. Grazie, maestro. Foto di Riccardo Cingottini

A un certo punto ho chiesto se potevo far ascoltare a quella platea di esperti e di musicisti qualche canzone in milanese che abbiamo scritto mia moglie Paola Ciccioli ed io. L’accoglienza è stata molto lusinghiera, grazie ancora, quindi penso che continueremo a scrivere e a comporre…

La giornata è finita tra arrivederci e colpi di gomito, stavolta più calorosi, ci siamo conosciuti e abbiamo condiviso tante cose, una domenica di quelle, lo dico senza retorica, di una volta, solo con qualche anno in più sulle spalle anche se il peso non lo sente nessuno.

Il Pelè l’hanno chiamato così perché correva veloce e qualche volta, dice lui, a rincorrerlo c’era un brigadiere…

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