E finalmente capiamo quel che cantiamo

Testo e traduzione di Luca Bartolommei

Giustizia e pace. Insieme. Ma potrebbero non bastare se non cambierà l’atteggiamento di ognuno di noi nei confronti degli altri, dei nostri vari prossimi. Questo il messaggio che ci arriva dalla canzone di oggi. Justice and peace. Together. That might not be enough if our personal approach with others won’t change, if our attitude towards any of our neighbours won’t change. This is the message we get from today’s song. Foto da http://www.radiofujiko.it

E torniamo a parlare dei bei tempi andati, in milanese definiti i temp indree o meno elegantemente l’epoca del Carlo Codega anche se in fondo di anni non ne sono poi passati così tanti…

Chi mi legge e mi conosce sa bene quanto io abbia amato e ami tuttora la musica non italiana, le canzoni che arrivavano da Oltremanica se non da Oltreoceano, insomma le canzoni cantate in lingua inglese. La musica è qualcosa di immediato, emozionale, ascolti e sai subito se ti piace o meno quel genere, quel gruppo o quella cantante. Il problema che mi ponevo da ragazzino era quello di capire che cosa dicessero i testi, quindi spendevo molto del mio tempo a tradurre quelli degli LP che a tremilacinquecento lire cad. (ma in Magenta da Bigi e Buscemi costavano duemilaseicento, e vi assicuro che non era un risparmio da poco) stavano cominciando a formare la mia discoteca personale.

Il dizionario Collins tascabile nero e verde cominciava a non bastare più e fortunatamente è arrivato, direi all’inizio della terza media, un Hazon–Garzanti che era grande di nome e di mole, elegante, sobrio, blu, proprio british… una volta esauriti i sostantivi di quattro lettere, roba veloce, avrei potuto finalmente comprendere, conoscere, stupirmi per la rivelazione dei segreti significati delle parole che erano parte integrante dei brani che così tanto mi appassionavano. Confesso che per lungo tempo è stato una delle mie letture preferite.

Penso che scriverò diversi post su questo argomento anche perché, vi assicuro, sul tema delle traduzioni dall’inglese delle canzoni c’è anche da ridere a crepapelle.

Le sorprese ovviamente potevano essere di ogni genere, nel senso che a volte il testo affascinava davvero, altre era assolutamente di poco valore o comunque non soddisfaceva affatto le mie aspettative, di solito molto alte, e io ci rimanevo malissimo. Dicevo tra me e me, “anche qui come in Italia… bah”, con la differenza che almeno la musica era originale, mentre da noi abbiamo cantato per anni musiche molto belle, ovviamente cover di successi stranieri, con testi italiani a dir poco patetici.

La conoscenza media delle lyrics era tra noi giovani generalmente sconfortante, i ritornelli sì se non erano troppo lunghi, altrimenti giusto il titolo. Quindi quando suonavamo tra amiche e amici, ma anche conoscenze occasionali, la cosa funzionava più o meno così: “The answer my friend is blowing in the wind, the answer is blowing in the wind” e qui eravamo già avantissimo – “Yellow river, yellow river, finito” – “Jammin’, jammin’, finito” – “Aqualung my friend, finito” per chiudere con “Cocaine!, punto”.

Poi c’era quello che si pronunciava, e qui c’è da ridere proprio per la non conoscenza dei testi. Cito fra ricordi miei e di altre persone cose tipo “Occhei” per la “Cocaine” di cui sopra, “Unit huleee, beib ama culeee” dei Led Zeppelin, per finire con “chicchineuè” ma ho anche sentito dei “chicchiruéi” per l’incipit del cantato di “Time”, Pink Floyd, che peraltro qualcuno traduceva con Fluido Rosa (sforzo d’immaginazione da paura…). Gli fosse almeno venuto in mente il floïd dei barbieri…

Però “La locomotiva” la sapevano e la volevano cantare tutta, matuttatuttapropriotutta, veh, e guai se alla settima strofa cominciavi a dare evidenti segni d’impazienza e ad emettere qualche rantolo, non c’era verso, TUTTA, come lo sciroppo dal sapore di peste, i finocchi cotti dell’asilo o la minestrina con le uova… Quell* che non avevano studiato bene gorgogliavano qualcosa un po’ sottovoce, per ringalluzzirsi alzando il volume dello pseudo-canto quasi fino a sbracare, ma sai com’è, l’Idea…, sulla “fiaccola dell’anarchiaaaaa” o quando “ancora respirava”. Lasciamo perdere la “gran consolatrice”. Una prece e alla via così.

Recentemente, a causa della pandemia e di altri tristissimi, chiamiamoli in questo modo, avvenimenti successi per esempio negli Stati Uniti, si è letto, parlato e discusso molto di solidarietà, comprensione, empatia, vicinanza e sostegno, ma anche di compassione e cordoglio. Tutti questi sostantivi, che non sono rimasti solo parole ma cui sono seguite azioni importanti e incisive, possiamo condensarli in una sola parola inglese: sympathy.

La canzone di cui vi voglio parlare mi è stata fatta conoscere via radio da Lelio Luttazzi (volutamente non uso aggettivi per descrivere il Maestro) per mezzo della sua “Hiiiiit Paraaaade” e ricordo che sono andato subito in Duomo da Ricordi a cercarne, trovandolo, lo spartito per chitarra. 500 lire spese bene.

Sympathy era il titolo, eseguita dal “complesso” inglese dei Rare Bird che apparteneva alla corrente musicale chiamata progressive rock, il prog, che in quel periodo, era il 1969, si stava affermando al di là del Canale e non solo. L’album Rare Bird fu pubblicato dalla neonata casa discografica Charisma Records, sì quella col Cappellaio Matto sull’etichetta, del grandissimo manager Tony Stratton-Smith, e registrato a Londra nei Trident Studios di Soho, luogo in cui è passata gran parte della storia del rock. Della scuderia Charisma, per capirci, hanno fatto parte nei primissimi anni ’70 gruppi che si chiamavano Genesis e Van der Graaf Generator, piuttosto che Lindisfarne (questi ultimi qualcun* se li ricorda?).

Dal punto di vista della musica e del sound lo strumento che comanda in Simpathy è l’organo Hammond di Graham Field, col suo tono percussivo e le scale blues che sottolineano le parti cantate.

Il brano ha venduto nel mondo oltre un milione di copie nel 1970 e sempre in quell’anno è stato proposto nella versione in italiano di Daniele Pace da una giovane Caterina Caselli, anche a Canzonissima, con il titolo”L’umanità”.

Sympathy – Rare Bird – Album Rare Bird – Charisma Records 1969

Now when you climb into your bed tonight

And when you lock and bolt the door

Just think of those out in the cold and dark

‘Cause there’s not enough love to go round

And sympathy is what we need my friend

and sympathy is what we need

and sympathy is what we need my friend

‘Cause there’s not enough love to go round

Now half the world hurts the other half

And half the world has all the food

And half the world lies down and quietly starves

‘Cause there’s not enough love to go round

TRADUZIONE IN ITALIANO

Empatia

Stanotte quando andrai a dormire

Dopo aver ben chiuso la porta a chiave

Pensa a quelli che sono fuori al freddo e al buio

Perché intorno a noi non c’è abbastanza amore

Amico mio, tutto ciò di cui abbiamo bisogno è essere solidali

Abbiamo bisogno di essere comprensivi

Abbiamo bisogno di essere empatici, amico mio

Perché in giro non c’è abbastanza amore

Metà del mondo fa del male all’altra metà

Metà del mondo ha tutto il cibo

Metà del mondo giace a terra

E muore di fame in silenzio

Perché intorno a noi non c’è abbastanza amore

Traduzione a cura di Luca Bartolommei

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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