Ciclisti, sabbia e finalmente un Bat-tuffo

Perbacco che tempismo! Luca Bartolommei stava per pubblicare il suo terzo racconto sulle vacanze di bambino milanese nelle Marche quando abbiamo appreso da Corriere Adriatico.it del meteorite finito in mare a Fano poco distante dalla riva. Così abbiamo cambiato subito l’immagine e possiamo documentare l’evento eccezionale grazie al quotidiano di Ancona.

di Luca Bartolommei

In questa foto il meteorite che ha attraversato il cielo sopra Fano (da http://www.corriereadriatico.it)

Il gioco post-prandiale principe era la pista.

La preparazione laboriosa e metodica iniziava col trascinamento di un giocatore, meglio se cicciottello, così la sede stradale veniva più larga. Messo a sedere, veniva afferrato per le caviglie e fatto girare avanti e indietro sulla sabbia, disegnando rettilinei, curve, doppie curve, incroci e arabeschi vari. Poi ci si dedicava a rifinire il tutto con piegate che, mettendo sabbia bagnata diventavano paraboliche, con aggiunte di montarozzi a mo’ di salitine, di buche e ostacoli vari.

Quello più impegnativo, anche da costruire, era il “garagolo”, ovvero un cono di sabbia con una scanalatura a spirale nella quale dovevano passare in salita le palline che, una volta raggiunta la sommità cadevano nel buco passante che le avrebbe rimesse sulla pista dal lato opposto. Vera opera d’ingegneria infantile… Questo se l’area di gioco era ampia, se invece la parte di spiaggia che gli adulti ci permettevano di usare era piccola, ce la cavavamo con un bell’otto e via… non c’era molto da discutere e noi eravamo educati.

Insomma, sapevamo stare insieme, collaborare, divertirci, ogni tanto anche azzuffarci, senza farla tanto lunga e sopratutto senza o quasi interventi degli adulti. Le questioni si risolvevano “dietro ai capanni”. Tutto ‘sto lavoro aiutava anche a far passare le ore infinite che separavano il pranzo dal momento in cui si sarebbe potuto fare il bagno. Guai a tuffarsi prima che fossero passate enne ore, con enne variabile da papà a mammà, nonno o nonna, zii e vicini di ombrellone che mai si facevano i fatti loro.

Pronto il terreno e decise le regole, di solito ammessi due tagli e due forature (uscite dal percorso) poi stavi fermo un turno, vietato fare “manetta” ovvero accompagnare la pallina al momento del lancio col movimento dell’avambraccio (la schicchera non ci piaceva molto) si partiva con la gara.

Ho parlato di pallina e non di biglia. Secondo la mia visione del mondo, allora come oggi, le biglie erano di vetro e a Milano ci si giocava a “spanna” o a “galletto”, ma a Fano non ci ho mai giocato, mentre quelle per la pista di sabbia con all’interno le foto dei ciclisti si dovevano chiamare palline. Per acquistarle c’era un bel negozio che si chiamava La Plastica, ma era su in città, come diceva mio nonno, c’era una bella cartoleria-giocattoli sull’angolo della piazza principale, ma anche quella era lontana, quindi con le nostre centcinquenta lire andavamo dopo la “rotonda”,  e salendo per andare verso la stazione trovavamo all’edicola quelle piccole retine di plastica che contenevano il piccolo tesoro.

Certo, Gimondi, Pambianco, Zilioli, Motta e Adorni, ma anche Anquetil, Stablinski, den Hartog, Darrigade, Altig, Jimenez e Van Looy, ovviamente trasformati in vanloi, stablischi e gimenez, mentre anchetil lo pronunciavamo proprio alla francese… Tra i meno conosciuti nomi come Mealli, Bariviera, Taccone e Farisato. A me, anglofilo nel DNA, piaceva Tommy Simpson, inglese già campione del mondo, correva per la Peugeot BP Michelin, e lo volevo sempre nella mia squadra. Il doping se l’è mangiato durante il Tour del ‘67 in Vaucluse, mentre saliva il Ventoux…

Dopo aver puntualmente litigato con qualche bambino maleducato che ci guastava irrimediabilmente la pista, ci dedicavamo alla costruzione di piccoli vulcani attivi, carta e bastoncini dei ghiaccioli bruciavano che era una meraviglia, piuttosto che all’emulazione delle gesta di Batman, del quale era possibile vedere il film da poco uscito.

A questo proposito ho da raccontare un aneddoto che a distanza di decenni mi fa ancora ridere. Vado, non mi ricordo con chi ma molto probabilmente da solo, a vedere il film di Batman proiettato al cinema teatro Politeama in via dell’Arco di Augusto. Come ben sappiamo qualunque cosa usi Bruce Wayne è Bat… Bat-caverna, Bat-mobile, di cui peraltro avevo un modellino bellissimo della Polistil, Bat-cottero, Bat-scafo e Bat-repellente spray per squali… A un certo momento si sente un giovane spettatore che un po’ sghignazzando e un po’ gridando dice: «Oh, a quel malì je manca sol la Bat …» e il cinema esplode in una risata fragorosa che ancora mi ricordo.

C’era un bambino romano che si chiamava Bruno, rotondetto, braga da bagno ascellare e cappellino da marinaretto che impazziva per l’uomo pipistrello e diceva che bruce iane era un grande. Io ero già rompiscatole da allora e lo correggevo dicendogli che il tizio si chiamava brius uein.

Sì, è ora, via… finalmente in acqua, sciaffffff!!!

3. Continua

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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