di Liliana Segre con Daniela Palumbo
Il 20 gennaio 2020 la senatrice a vita Liliana Segre si racconterà in un incontro riservato agli studenti che si terrà a partire dalle ore 10,30 al Teatro degli Arcimboldi di Milano. La testimonianza sarà trasmessa in diretta online su http://www.corriere.it
La giornalista Paola Ciccioli, coordinatrice di Donne della realtà, per gli auguri di Buon Anno ha scelto questa foto che, sulla propria pagina Facebook, ha accompagnato con queste parole: «Ringrazio per gli auguri ricevuti e rinnovo i miei con l’immagine sorridente di questa bambina, fotografata sulla spiaggia di Celle Ligure nel 1933 e, quasi un segno del destino, così piccolina e già alle prese con i giornali. Ora so che aveva una mamma di nome Lucia che se n’è andata quando lei non aveva neppure un anno, che era molto gelosa del suo papà Alberto, giovane e bello, che tra i nonni preferiva la nonna Bianca perché sapeva tornare bambina quando giocavano insieme. So anche che Susanna, la cameriera della nonna Olga, parlava piemontese, era di Mondovì, era cattolica, e mise in salvo tutti gli album con le foto di famiglia che restituirono a Liliana, bambina ebrea, “la vita di prima” al ritorno da Auschwitz.
Liliana Segre con Daniela Palumbo, Fino a quando la mia stella brillerà (Pickwick editore). La prima edizione di questa autobiografia molto toccante scritta per le ragazze e i ragazzi è del 2015, la senatrice ha scelto di destinare il ricavato derivante dai propri diritti all’Opera San Francesco per i poveri Onlus di Milano.
Vi proponiano un estratto dal capitolo “A casa. Ma è tutto cambiato”.

(Foto di Paola Ciccioli)
La stazione di Cadorna era stata bombardata e c’era un grande buco proprio nel mezzo. Però, intorno, brulicava un’umanità vivace, con i visi accesi di speranza. Si muovevano tutti in modo frenetico. C’era gente che sfrecciava da ogni parte, avevano fame di allegria e voglia di ricominciare.
La guerra era finita, si sentiva nell’aria, si vedeva sui volti delle persone che era tornata la pace. Era il 31 agosto 1945.
Ero emozionata. Ritrovarmi a pochi passi da casa mia, dal parco dove andavo a giocare da bambina, mi sembrava impossibile. Non ero più tanto magra perché dalla liberazione in poi non avevo più smesso di mangiare!
Io e Graziella eravamo vestite miseramente. Io indossavo un paio di pantaloni e una camicia da uomo che avevo trovato nella casa requisita in Germania. Eravamo sporche perché il viaggio era stato lungo. Un signore si fermò a guardarci con pietà e poi ci diede una moneta da due lire. Avevo anche un bagaglio: una coperta arrotolata che mi avevano regalato i soldati italiani e due cose del lager che posseggo ancora e che lascerò a un museo della Shoah. Una è la giacca che indossavo nel campo e l’altro è il fazzoletto che avevo in testa.
Il fazzoletto lo conservo ancora oggi in un cassetto. Ogni tanto vado lì e lo prendo. Mi è servito in certi momenti della mia vita. È come un feticcio, una cosa solo mia. Qualcosa che nei momenti difficili mi ha “detto”: “Liliana, hai passato tutto questo, puoi affrontare qualsiasi cosa”.
Arrivai nella casa di corso Magenta, insieme a Graziella, vidi il custode, Antonio, in portineria. Ci disse di andare via, pensava che fossimo mendicanti in cerca di elemosina. Io gli dissi: «Antonio, sono Liliana Segre, ti ricordi di me?».
Urlo come se si trovasse di fronte a un fantasma. Poi chiamo subito i miei zii e i nonni materni che gli avevano dato il loro numero di telefono nel caso fossi tornata a casa.
Erano due anni che non mi vedevano.
Ma sapevano che ero viva. Perché quando eravamo in Germania, sotto la protezione americana, la Croce Rossa aveva distribuito delle cartoline prestampate e affrancate. C’era una frase scritta in tre lingue diverse che significava “Ci rivedremo presto”. Non c’era l’italiano e allora avevo sbarrato quella scritta in francese. L’avevo firmata. Era un segno per dire alle famiglie che eravamo vivi. Dovevamo scrivere un indirizzo e poi le cartoline sarebbero state inviate dalla Croce Rossa. Io non sapevo a chi inviarla perché immaginavo che nella casa di corso Magenta non ci fosse più nessuno. Non sapevo dove fossero gli zii e i nonni materni, poi mi era venuto in mente che potevo farla recapitare al signor Corti, la persona che ci aveva affittato la casa di Inverigo, dove eravamo andati dopo essere stati sfollati da Milano. Erano brave persone. Infatti, avevano avvertito i miei nonni e questi avevano chiesto ad Antonio, il custode, di chiamarli subito se mi fossi fatta viva. Immaginavano che sarei andata alla casa di corso Magenta, dove altro potevo andare?
Il nostro appartamento era stato affittato da altri inquilini. Non entrai mai più nella mia casa.
Quando arrivarono, i nonni materni e gli zii, mi fecero tante feste, erano felici di riabbracciarmi. Gli zii si erano salvati perché erano fuggiti per tempo in montagna, anche i nonni materni si erano rifugiati in un convento a Milano.
Ma fra di noi pesavano gli assenti.
Grazie, Paola. La capacità di ricominciare e l’impegno che si imparano dalla lezione di vita di Liliana Segre sono il migliore augurio che ci potevi fare.
Angela Giannitrapani
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Grazie a te, Angela. Ti stavo giusto pensando perché vorrei ripubblicare sui nostri canali social il tuo bel post «Cosa, secondo lei, si deve fare per prevenire la guerra?» su “Le tre ghinee” di Virginia Woolf. Che sia un anno di impegno nella direzione della pace per tutte e tutti noi, ciao.
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