di Alberto Savinio*

Questo palazzo è stato la sede milanese delle Assicurazioni Generali e le tre statue create intorno al 1948 dallo scultore Marcello Mascherini (Udine 1906 – Padova 1983) dalla facciata che dà su via Manzoni continuano a controllare il viavai di quello che è uno degli snodi più importanti del centro, specie per quanto riguarda la moda (la foto è di Paola Ciccioli)
Con una tavola rotonda su Il senso della Storia nella cultura di Milano, si è aperta oggi la sesta edizione di Milanosifastoria, una poliedrica mappatura di ciò che ha fatto della città lombarda la metropoli internazionale di oggi. Luca Bartolommei e Paola Ciccioli, per l’occasione uniti nel duo Palcoscenico Milano – L&P, daranno il loro contributo venerdì 8 novembre (ore 21) al Frida Isola con il concerto letterario El Bell Fofò de via Manzon dove le canzoni di Giovanni D’Anzi faranno da contrappunto alle pagine di Ascolto il tuo cuore, città di Alberto Savinio, pubblicato nel 1944 dopo i terribili bombardamenti alleati che hanno cambiato per sempre il volto di Milano. L’editore Valentino Bompiani lo definì «un libro che nasce già adulto, così zeppo di intelligenza da fare un po’ spavento». Vi offriamo la descrizione che Savinio fa di via Manzoni prima delle ferite della guerra.
Di tutte le vie di questa città così squisitamente peripatetica e dialogica, via Manzoni è la meno atta al conversare. Nel suo primo tratto principalmente, tra la Scala è il Monte Napoleone, via Manzoni è un enorme camminatoio di pietra, che colonne di artiglierie traversano senza interruzione, le une montanti le altre discendenti. Il cupo fragore di questi tram ermetici e bassi, meno fatti per correre sulla superficie della terra che sul fondo del mare, non penetra in noi per le orecchie ma per lo stomaco. Chi è costretto a passare per via Manzoni di giorno e a piedi, affretta il passo e tiene la bocca chiusa come per gelo.
Se ha cosa molto urgente e importante da comunicare al compagno, gli accenna di fermarsi, si volta verso lui, fa tromba con le mani, e come marinaio nella bufera gli grida: «Ti sei ricordato di scrivere a Quasimodo che il colore degli ulivi greci, che Anacreonte chiama chloròs, è impropriamente tradotto nell’aggettivo “glauco”, perché la qualità marina di questo aggettivo, il suo umidore, le immagini opache che esso evoca, la sua stessa sonorità cupa, rotonda, sdentata, molle, da “tuffo”, si affà alle cose marine e soprattutto sottomarine, non al fogliame dell’olivo greco, così terrestre, così asciutto, così palladico?».
Dopo di che fa cenno al compagno che ha finito, e riprende la strada affrettando anche più il passo, come il treno che è stato costretto a fermarsi per alcun incidente, e accelera per arrivare in orario. Quanto al fragore dei tram che passa attraverso la nostra testa, esso ci dà idea che anche dalla nostra, come da quella di Giove, può nascere qualcosa: un’idea in mancanza di una dea.
*Da: “Ascolto il tuo cuore, città” di Alberto Savinio (edizione Adelphi 1984)