«Giorno dopo giorno: parole maledette e il sangue»

di Salvatore Quasimodo

Dunque davvero i poeti sono dei veggenti? A leggere questa poesia del Premio Nobel per la Letteratura, inserita nella raccolta “Giorno dopo giorno” del 1947, sembra proprio di sì.

Dedichiamo questi versi di Salvatore Quasimodo a tutte le persone che hanno perso la vita durante le migrazioni e in particolare a quelle bambine e a quei bambini per i quali non è neppure possibile, per usare le parole del poeta, alzare «tombe in riva al mare». Secondo le stime dell’Unicef, soltanto nel 2017 «oltre 400 bambini sono morti nel tentativo di compiere il viaggio sulla rotta del Mediterraneo centrale, dalla Libia all’Italia, mentre in migliaia sono stati vittime di abusi, sfruttamento, schiavitù e detenzione mentre transitavano attraverso la Libia» (https://www.avvenire.it/attualita/pagine/unicef-nel-2017-morti-in-mare-400-bambini)

Giorno dopo giorno: parole maledette e il sangue

e l’oro. Vi riconosco, miei simili, o mostri

della terra. Al vostro morso è caduta la pietà,

e la croce gentile ci ha lasciati.

E più non posso tornare nel mio eliso.

Alzeremo tombe in riva al mare, sui campi dilaniati,

ma non uno dei sarcofaghi che segnano gli eroi.

Con noi la morte ha più volte giocato:

s’udiva nell’aria un battente monotono di foglie,

come nella brughiera se al vento di scirocco

la folaga palustre sale sulla nube.

(a cura di Paola Ciccioli)

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