di Silvana Citterio*
Le Troiane di Euripide – Sartre per bovisateatro con la regia di Bruno Portesan. Debutto sabato 10 febbraio (ore 21) al Teatro Pavoni di Milano, replica domenica 11 alle 16.

“Andromache and Astyanax”, Pierre Paul Prud’hon (French, Cluny 1758–1823 Paris) completed by Charles Pompée Le Boulanger de Boisfrémont (French, Rouen 1773–1838 Paris), Oil on canvas (132.1 x 170.5 cm) https://www.metmuseum.org/toah/works-of-art/25.110.14/
Perché mettere in scena, oggi, a Milano, Le Troiane di Euripide nell’adattamento che ne fece Jean Paul Sartre nel 1965? Quali i motivi di interesse per il pubblico contemporaneo? Se lo spettatore ateniese del V secolo a.C. conosceva bene la vicenda e tutti i personaggi della tragedia, il pubblico del 2018 chi può riconoscere nelle prigioniere che, dopo la distruzione della città di Troia, stanno per essere condotte schiave in Grecia? E quale insegnamento può ricavare dalla vicenda?
Le Troiane di Euripide vengono rappresentate per la prima volta nel 415 a. C., mentre – fra la coalizione ateniese e quella spartana – si sta consumando la sanguinosa guerra del Peloponneso (431 – 404 a.C.) e Atene si è da poco resa protagonista, dopo un assedio, della violenta distruzione dell’isola di Melo con l’uccisione di tutti i maschi adulti e la deportazione di donne e bambini.
Quando, nel 1964, Jean Paul Sartre adatta il testo euripideo, si è appena conclusa la guerra d’Algeria, un episodio chiave e molto cruento del processo di decolonizzazione. Il punto che Sartre ha accentuato nel testo è giusto quello relativo alle guerre coloniali: a più riprese parla di “Europa” contrapposta a “Asia/Africa”, un’idea moderna che si ricollega però all’antica opposizione tra greci e “barbari”.
Dunque, mettendo in scena la devastazione di Troia, un evento mitico accaduto intorno al 1180 a.C. e trascritto e tramandatoci da Omero nel VIII secolo, Euripide e Sartre si rivolgono ai loro contemporanei. Entrambi denunciano la violenza e l’assurdità di ogni guerra e, in particolare, delle spedizioni coloniali.
In secondo luogo la prospettiva di Euripide e Sartre è “al femminile”. Non i vinti, ma le donne dei vinti hanno qui diritto di parola e ci descrivono quale era la condizione femminile nel V secolo. Condizione che, per molti versi e in larga parte del mondo, si è mantenuta fino ai giorni nostri.
In questo oratorio, il coro interviene con le voci di un ceto sociale più basso e dialoga con Ecuba e con gli altri personaggi femminili per cantare la città distrutta e per esprimere preoccupazioni, speranze, timori che appartengono alle donne dei vinti di ogni tempo e luogo.
Ecuba, mater dolorosa al centro della scena, ora si abbandona alla sua disgrazia e ora reclama giustizia: ha infine raggiunto, ma solo in tarda età e nella sventura, consapevolezza della sua subalternità. In qualche modo invidia Elena, pensa di aver tutto sbagliato e si ribella piena di rabbia e di risentimento.
Cassandra è la profetessa e incarna la figura dell’intellettuale. Ha una visione complessiva e di lungo periodo, sa prevedere quello che accadrà, ma, proprio in quanto donna e per di più istruita, non viene creduta e viene presa per pazza. È divergente rispetto allo stereotipo femminile del tempo.
Elena pure è divergente: sa usare la sua bellezza come un’arma e riesce a ribaltare la condizione di subalternità femminile. Diventerà l’archetipo della seduttrice.
Andromaca è la figura più ambigua: per un verso a lei è affidata la requisitoria contro “i barbari” e le guerre coloniali, per l’altro abbandona il figlio Astianatte al suo destino senza opporre quella resistenza che noi, donne e uomini del XX secolo, ci aspetteremmo.
*Silvana Citterio fa parte della segreteria del Coordinamento scientifico e organizzativo della Rete Milanosifastoria. Bruno Portesan è suo marito.
Un articolo estremamente, grazie.
Mara
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Bello, sì, proprio bello. Un grazie a Silvana Citterio (anche per avermi accompagnata a vedere le prove…)
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