di Eliana Ribes
Elisabetta Malatesta Varano è la protagonista di “Sono tornata”, il libro di Clara Schiavoni che abbiamo presentato nel post precedente con un estratto scelto per noi da Eliana Ribes. E adesso la parola passa proprio a Eliana e alla sua recensione, buona lettura!

Questa immagine proviene dal diario Facebook di Clara Schiavoni, autrice del romanzo storico “Sono tornata” (Edizioni Simple, 2013) che abbiamo raccontato in questi due ultimi post. La foto è di Germano Capponi e porta la data del 6 novembre 2016: la copertina di questo libro è coperta da polvere e calcinacci, i segni del terribile terremoto di cui il Centro Italia, le Marche, Camerino e Visso (le due città dove sono ambientate le avventure di Elisabetta Malatesta Varano) portano ancora ferite aperte https://www.change.org/p/sergio-mattarella-salva-camerino-dall-abbandono-post-terremoto
Un romanzo storico. «Sarà impegnativo?», ho pensato. Quando mi sono addentrata nella lettura ho scoperto invece che è molto piacevole: la sapiente e accurata ricostruzione degli eventi storici è fatta con semplicità e chiarezza.
Gli avvenimenti, che si svolgono tra il 1433 e il 1443, accordi militari, congiure, assedi, battaglie, ruotano intorno alla figura di Elisabetta Malatesta, che aveva sposato all’età di quindici anni Piergentile da Varano, signore di Camerino; la vita di Elisabetta è finalizzata al mantenimento del potere signorile nelle mani del figlio Rodolfo.
Elisabetta a poco più di venticinque anni è una donna in fuga. Una prima volta (nel 1433) per sfuggire alle insidie dei cognati Gentilpandolfo e Berardo, che per accentrare il potere nelle loro mani hanno fatto uccidere i fratellastri Giovanni e Piergentile (suo marito), si rifugia presso il castello di Visso. L’anno seguente, dopo essere ritornata a Camerino grazie alla protezione di Francesco Sforza, è costretta a fuggire precipitosamente perché lo stesso condottiero ha appoggiato una rivoluzione borghese contro i Varano, che ha come obiettivo l’eliminazione di tutti i loro eredi maschi. Si rifugerà a Pesaro per nove anni, a palazzo Malatesta, dove risiedono il padre Galeazzo e la madre Battista.
La figura di Elisabetta è curata e accarezzata dall’autrice in tutti i suoi aspetti: lucida e intuitiva, fiera e altera quando occorre, tenera e affettuosa verso i figli e i parenti fidati, riconoscente verso la servitù, supplice quando ha bisogno di un conforto spirituale perché la sua anima e la sua resistenza fisica sono a pezzi. Il legame che ha con la natura è profondissimo, è sua interlocutrice e confidente, il ritmo della sua giornata è scandito da quello delle stagioni.
Questo libro ha animato un periodo storico e ha riempito di vita i palazzi signorili, descrivendo gli usi e i costumi dell’epoca, le azioni, i sentimenti, i colloqui, gli scontri degli abitanti.
Se posso azzardare un parallelismo debbo dire che quando ho letto le precauzioni che vennero prese, durante l’attuazione dei piani di fuga, per preservare l’incolumità di Rodolfo e Giulio Cesare, rispettivamente figlio e nipote di Elisabetta, ho pensato alla fuga in Egitto di Gesù Bambino. Questi piccini, ancora lattanti, nel corso della prima fuga furono legati con delle pezze al seno delle loro nutrici, issate a cavalli già montati dai cavalieri; l’anno successivo vennero adagiati su di un carro e ricoperti con del fieno. Anche Elisabetta era animata da una profonda fede, quella dinastica, e considerava missione e scopo della sua vita portare in salvo i propri figli e assicurare loro il “governo terreno”: quello sulle proprietà di casa Varano.