di Luca Bartolommei

Il Duomo, la Madonnina, la Galleria, piazza della Scala con l’inizio di via Manzoni. Sono questi alcuni dei luoghi che Giovanni D’Anzi ha descritto nelle sue canzoni, anche attraverso i personaggi che vi si potevano incontrare. Appena sotto i grattacieli sullo sfondo un tempo trovavi “Il Barbisin de la Mojazza” e non inquadrato, tutto sulla destra, ci aspettava “Il tu mi ami de Lurett”. Ecco Milano e i milanesi. Foto di Andrea Cherchi
“Canten tucc: Lontan de Napoli se moeur ma poeu vegnen chi a Milan…”. Questi i versi che chiudono il refrain di “O mia bèla Madonina” canzone che a ragione viene definita come l’inno di Milano. Il titolo del brano di Giovanni D’Anzi è anche quello del volume di Giancarla Moscatelli, pubblicato dalle Edizioni Curci.
Nei giorni di BookCity ho assistito alla presentazione del libro, che si è tenuta negli ambienti accoglienti, ben illuminati e ricolmi anche di spartiti musicali e strumenti vari del Magazzino Musica, qui a Milano (dove il Maestro era nato il 1° gennaio del 1906…).
Ho aspettato il momento giusto per leggere il lavoro di Moscatelli, ci voleva concentrazione, atmosfera. D’Anzi e Milano non puoi prenderli alla leggera, quindi un buon caffè, e via: il libro mi è finito in un amen, giusto un paio di sigarette per darmi un minimo stacco, ma se ne poteva fare a meno.
L’autrice mi ha guidato per mano nella mia città degli Anni Trenta, periodo d’oro. Oddio, l’oro poi sarebbe stato dato alla patria, ma tant’è. Luoghi che non esistono più, navigli scomparsi sotto l’asfalto, palazzi e gallerie simil-parigine cancellati da ristrutturazioni o, di lì a poco, dai bombardamenti, sale da ballo, tabarin, e il D’Anzi che scrive, scrive, compone e suona e canta, con la sua voce un po’ roca. Fino a creare una canzone, sì, sembrerà strano ma ne ha scritto anche il testo, dove parla di Milano e dei milanesi, sintetizzando lo spirito di questa e di quelli nella figura semplice ma immensa della “Madonina”.
Noi milanesi, nel senso di quelli che vivono a Milano, a più di ottant’anni dalla pubblicazione di questo inno, più o meno credenti, ci commuoviamo quando alziamo gli occhi e la guardiamo. Con amore.
Non è solo da leggere questo libro, le immagini che contiene, una per una, raccontano tante storie, tanti volti e tanti modi di vivere. Le copertine degli spartiti musicali sono meravigliose e cosa vogliamo dire della storica pubblicità del Bitter Campari firmata Leonetto Cappiello?
Ma nella ricerca non c’è un sentimento di banale nostalgia per i temp indrée, ho sentito solo tanto affetto per una città e per il suo re, come lo definisce la targa a lui dedicata in Galleria del Corso.
A mio parere dalle pagine esce, magari nemmeno tanto voluta in questo ruolo dall’autrice, una protagonista fondamentale di quegli anni, la radio. Giancarla Moscatelli la cita molto spesso e ci racconta quanto sia stata importante per la diffusione della musica, quindi della gioia e magari anche di un po’ di felicità in anni in cui c’era davvero poco da stare allegri. Anche sulla radio tante immagini a corredo e una bella frase: “Con la radio si ascoltano le notizie, la musica, si può imparare una lingua, si balla, ma, soprattutto, non si è più soli”.
Le ultime pagine ci raccontano la storia di casa Curci e dei luoghi milanesi che Giovanni D’Anzi ha frequentato o di cui ci ha raccontato nelle sue canzoni, e qui un po’ di nostalgia è doverosa, non fosse altro che per il rispetto nei confronti della città.
“O mia bèla Madonina” è un libro che descrive compiutamente la capitale del Nord com’era negli Anni Venti e Trenta senza fronzoli e frasi retoriche, e racconta l’amore infinito di Giovanni D’Anzi per il luogo dove è nato (in una lettera scritta da New York si definisce “affamato di Milano”) e per i suoi concittadini.
Ma c’è una parte del libro che deve essere tenuta in massima considerazione. Da pagina 117 (bellissimo il manifesto pubblicitario del Bel Paese Galbani) a pagina 124, care amiche e cari amici, si scrive di cucina milanese! La ricetta dell’ossobuco è magistrale e personalmente trovo un must aggiungere la mortadella, ma potremmo anche chiamarla bulogna, sì proprio con la u, così come si pronuncia, ai mondeghili…
Buona lettura.
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