Il viaggio in Germania di zia Adina: sola, analfabeta e con il bagaglio dell’amore

di Eliana Ribes

Ma quale forza può sprigionarsi da una donna? Oggi la domanda riguarda Adina Malpiedi, la nostra zia Adina, che ha vissuto a Urbisaglia, nelle Marche, paese dove è nata anche l’autrice del post. Moglie di Virginio Agostinelli e madre delle gemelle Marina e Rosina, questa donna semplice e sorridente, ha sfidano (ma senza saperlo) pregiudizi e consuetudini, per stare accanto alla figlia emigrata che stava per partorire. Ecco la seconda e ultima parte del racconto di Eliana Ribes.

Adina Malpiedi, zia Adina, con le figlie Marina e Rosina (che ringraziamo di tutto cuore per aver fornito a Eliana Ribes questa foto dell’archivio privato)

Zia Adina era una bella donna, alta, robusta, con i capelli neri sempre legati a crocchia dietro la nuca. Da giovane aveva lavorato in filanda, ma da quando questa era stata chiusa non le metteva pensiero alcun genere di fatica. Si prestava anche ad aiutare nonno che faceva il cementista, un mestiere pesante. Me la ricordo con dei manicotti grigi fin sopra il gomito, che si infilava per preservare la pelle dall’irritazione del cemento e per non sporcarsi. Sempre silenziosa e attenta alle indicazioni di nonno che era molto esigente. Facevano tutto a mano, con delle forme di metallo o di legno, anche l’impasto, perché non c’era certo l’impastatrice. Comunque, un’ora prima che ritornasse a casa il marito, zio Virgì, che faceva l’operaio e andava a lavorare in bicicletta (doveva percorrere una quindicina di chilometri), lasciava perdere tutto e gli preparava la cena. Il profumo di quello che cucinava invadeva tutta la casa e mi faceva venire l’acquolina in bocca.Per me, comunque, l’impresa più memorabile è stata quando ha affrontato da sola, senza sapere né leggere né scrivere, il viaggio per la Germania.

Poiché la figlia Rosina, che dopo il matrimonio era emigrata in Germania dove lavorava in una fabbrica di confezioni, stava per avere il primo figlio, zia non poteva certo farle mancare il suo aiuto e le sue premure. Così andò in Comune per procurarsi il passaporto. Faustina, l’impiegata dell’anagrafe, rimase sconcertata dalla sua audacia e chiamò il marito, zio Virgì, per chiedergli come potesse acconsentire a mandare in giro per l’Europa una donna che non sapeva né leggere né scrivere e che non si era mai allontanata dalla provincia di Macerata. Si poteva perdere e correre seri rischi! Zio le rispose che la moglie era coraggiosa e forte e non la poteva fermare.

Il giorno 7 maggio del 1966 zia Adina partì dalla stazione di Civitanova Marche alla volta di Minden, un viaggio, in quell’epoca, di 27 ore. Fino a Bologna tutto andò tutto bene; a prendere il treno per Monaco fu aiutata da qualche anima buona; a Monaco con altri emigranti del Sud Italiano, con cui non era facile intendersi perché parlavano in dialetto “stretto”, quasi un’altra lingua straniera, salì sul treno per Hannover. In questa città dell’alta Sassonia successe l’imprevisto. Per una serie di ritardi e malintesi, non facilmente comprensibili, il treno non proseguì per Minden, la cittadina dove risiedeva la figlia, e i passeggeri furono presi in custodia dalla Croce Rossa che li fece pernottare in un apposito presidio presso la stazione. Così Pierino, il marito di Rosina, che l’aspettava alla stazione, non la vide arrivare e ritornò a casa senza la suocera.

Rosina passò una notte tremenda, non sapendo che fine avesse fatto la madre. Allora non c’erano i telefonini ed anche i telefoni fissi non erano frequenti. Decisero di riprendere le ricerche la mattina seguente, ma zia Adina con la luce del nuovo giorno si era già data da fare. In attesa, sulle banchine, aveva adocchiato un uomo bruno, in mezzo a tanti altri biondi, e gli aveva chiesto se parlasse italiano. Non solo lo parlava, ma era anche italiano ed abitava a Minden, proprio vicino alla casa di Pierino e Rosina. Così fecero insieme il viaggio e zia suonò alla porta della figlia ancor prima che Pierino fosse uscito per ritornare a cercarla. La gioia di Rosina, naturalmente, fu incontenibile. La nascita del bambino era prevista intorno al 18 maggio, ma, o per la tensione della notte precedente o perché così doveva essere, la sera stessa dell’arrivo della madre Rosina incominciò ad avvertire le prime contrazioni e capì che non poteva perdere tempo. Con il marito e la madre raggiunse l’ospedale e alle prime ore del 10 maggio nacque Ezio.

Che emozione per tutti! Zia Adina per quattro notti dormì tanto per dire: la notte prima di partire, per l’ansia, la successiva per il viaggio in treno, l’altra ancora per la paura di essersi persa e  l’ultima per l’attesa del lieto evento. Ma che gioia poter abbracciare subito il nipotino!

Rimase in Germania per i “canonici” quaranta giorni e ritornò a casa “in gloria”: niente più ormai le poteva mettere pensiero. L’amore per la figlia le aveva fatto superare i propri limiti e valicare confini che mai si sarebbe sognata di oltrepassare.

II – Fine

4 thoughts on “Il viaggio in Germania di zia Adina: sola, analfabeta e con il bagaglio dell’amore

  1. La storia di zia Adina e il racconto che Eliana ci ha trasmesso si prestano a diverse letture. Quella che in me vince sulle altre, stamattina, riguarda il nascere e vivere una vita intera nello spazio circoscritto di una piccola comunità: “il paese”. L’estate scorsa, a Matera, Luca e io ci siamo messi a chiacchierare con un signore, piuttosto giovane, seduto di fianco a noi al tavolo di un bar. E il discorso alla fine è approdato sui condizionamenti che si hanno nei piccoli centri. Io ho sintetizzato, ripercorrendo la mia esperienza: «In un paese è il paese che comanda». E lui, senza pensarci un attimo e riferendosi alla propria quotidianità: «E in provincia è la provincia che comanda!». Ecco perché Faustina, l’impiegata dell’anagrafe di Urbisaglia, donna che ricordo perfettamente, chiama Virgì e – ritenendo di fare cosa buona e giusta – cerca di convincerlo a non far partire la moglie per la Germania. Ma zia Adina era una “cerescana” (dal soprannome della sua famiglia, e qui il discorso deve essere approfondito necessariamente), e le “cerescane” sono difficili da fermare…

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  2. L’amore delle madri comincia timido e pieno di paure già all’annuncio della maternità. Mentre i padri, di solito, hanno a disposizione un tempo per assimilare paura e orgoglio, le madri “devono” essere pronte. L’amore della madre cresce, si dilata ed occupa ogni spazio dell’anima. Ingoia piccole e grandi delusioni costruendo muri di alibi tra le sue aspettative e la realtà. Mia madre mi accompagnò, dopo un parto difficile fino all’estrema unzione, in un Centro fuori regione e rimase ad assistermi per circa tre mesi, senza un letto, senza pasti caldi anche alla mercè del reparto che mi affidò a lei, sempre presente, per molte incombenze.
    Non accettò mai di essere sostituita, perché con me era venuta e con me doveva tornare.
    Le Madri, credo sia più corretto dire il senso materno, hanno compiti che nessuno può svolgere.
    Grazie Eliana per aver condiviso la storia di zia Adina, che diventa zia di tutte noi.

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