di Anna D’Andrea

«Dogwalker and loving pooch at dusk last night…». Per la seconda parte del racconto di Anna d’Andrea un’altra immagine del tramonto sulla spiaggia di Brighton, in Inghilterra, scattata il 16 ottobre 2017 (https://twitter.com/MagicBrighton)
Le separazioni dai giorni, dalle stagioni, dalle immagini che si sono fissate nei nostri ricordi a colori o in bianco e nero. Continua il racconto “Il maglione autunnale” di Anna D’Andrea. Con una avvertenza: la “Gi” con cui dialoga è la sua cagnetta.
– Pare di stare al cinema! – avrebbe detto mio padre, con la sua puntina di bonaria ironia, mentre guardavamo lo struscio dal tavolino di una gelateria alla moda, in un altro angolo di mondo e di tempo. Lui un caffè freddo e amaro, mamma ed io uno spumone che faceva peccato solo a guardarlo, un monumento rosa a tronco di cono con un pozzetto dentro cui galleggiavano fragoline ubriache di sciroppo al rhum.
Pareva di stare al cinema, davvero; mi era rimasta da allora quell’abitudine voluttuosa, neghittosa, nirvanica, di incantarmi a guardare i flussi e riflussi della gente sciamannata, accaldata, ciabattante, chissà perché nessuno solleva mai i piedi, nei posti di mare, colpa forse delle infradito, o sayonara, come si chiamavano prima.
Pochi minuti bastano perché in testa si faccia una specie di vuoto, nel senso di una mancanza di pensieri precisi, se non una vaga attività neuronale residua, sommessa come un brusio. Bello essere comparse che non devono dire neanche una battuta!
– Ruolo che ti si attaglia perfettamente! – sibila uno dei pochi neuroni rimasti vigili – Certo, ognuno ha la sua vocazione, nella vita…
Comunque, sia benedetto chi ha inventato gli occhiali da sole, dietro un paio di lenti scure si diventa invisibili.
– Più invisibili di così?- provoca, ma non abbocco.
Sfilano davanti a me in processione seni tracimanti, glutei issati su tacchi micidiali, tartarughe palestrate e bicipiti illustrati come un manga; dopo un po’ mi sale una leggera sensazione di nausea, come per un pasto troppo abbondante e calorico. Poi succede all’improvviso che compaia, e si fa silenzio e vuoto attorno, un’immagine di bellezza da togliere il fiato. Quella ragazza con i capelli corti e una tunichetta nera, che cammina accanto a un giovane pallido, con la camicia bianca rimboccata sui polsi.
Camminano senza sfiorarsi, il passo lieve di chi non ostenta, forse neanche lo sanno, di essere figli di un dio maggiore; sembra che vadano piano, e invece scompaiono in un attimo, lasciandomi dentro una fitta dolorosa. No, non è invidia, è quel senso di nostalgia che conosco bene, di esclusione, miraggio di terre mai esplorate.
Chissà com’è fatto quel mondo, chissà se il tempo contaminerà anche loro come una macchia verdastra che scrosta la superficie liscia e compatta della pelle.
Le coppie anziane sono tenere da guardare: di alcune si potrebbe dire con buona approssimazione il momento in cui si sono arrese, perché si portano dietro una stanchezza, un cedimento, non solo di gambe e di pance, ma – come dire – d’anima.
Ancora poche centinaia di metri e poi il conforto della veranda e il fresco delle lenzuola, l’anno prossimo magari facciamo un programma un po’ meno faticoso, il mare stanca, beh, magari dopo ci pensiamo.
Ma anche chi non si dà per vinto fa tenerezza: quella signora fasciata di lino come una mummia regale, gioielli vistosi, pochette e sandali dorati, lo sguardo rapace che vorrebbe essere grintoso e invece è disperato.
– Siamo alle solite, tu vedi la disperazione dappertutto, quella è solo a caccia, credimi.
– Sarà così, però mi mette tristezza: di fronte a un tale trionfo di carne fresca, al sangue, dev’essere come il supplizio di Tantalo.
“Mareee mareee, qui non viene mai nessuno a farmi compagnia…”.
E neanche a te, piccola predatrice.
“Ed io che non riesco neppure a parlare con meee…”.
Invece è così bella in fondo questa sensazione di essere trasparenti, è un privilegio negato agli dei, si conquista col tempo, il piacere di fondersi con la pietra grigia della panchina, se non fosse la nota rosso rame che il sole regala alla testa arruffata di Gi.
Però quel golf di muschio e brina… D’altra parte, non c’è neppure uno specchio nel nostro buen retiro. E poi dovrei competere col rapace? Abbiamo già il nostro acquisto.
II – continua