di Laura Bartolommei*

“La signorina seduta” di Lucio Fontana (1934). «Secondo la testimonianza della moglie dello scultore, Teresita, si tratterebbe del ritratto della cognata Jole Bonifacini Fontana, moglie del fratello di Lucio, Tito».
Nel grande salone stracolmo, oltre che di quadri, anche di un elevatissimo numero di sculture, Lucio Fontana espone quella che Persico nella monografia del 1936 ritiene il suo capolavoro: La Signorina seduta, un gesso colorato che rappresenta una ragazza seduta per terra, colta nell’atto di sistemarsi i capelli davanti ad uno specchio, uno specchio che non è realmente modellato ma lasciato all’immaginazione dell’osservatore. Già questo un elemento straniante.
La complessità e la compenetrazione di riferimenti e di stili è anche questa volta straordinaria: la definizione sintetica dei capelli e dei tratti del volto è contraddetta dall’esuberanza barocca del panneggio, il volume scabro e antiaccademico tende a dissolversi nella colorazione astratta e nelle lunghe gambe che si assottigliano quasi a fondersi nella base. La naturalezza del gesto, le unghie laccate di rosso, il vestito nero elegante “sono elementi quotidiani di un’iconografia domestica contemporanea fatti dialogare con il classico tema scultoreo della figura femminile sdraiata e con l’antinaturalistica e sacrale atemporalità dell’oro […]”.
La critica ne coglie pienamente la prepotente novità, la vivacità, la sottigliezza, l’intensità espressiva, la complessità di un linguaggio che è al contempo naturale, sensibile, astratto e ironico.
Ecco la descrizione che ne fa il critico del “Corriere della Sera”: “una figura policroma, le carni colorate d’argento e le vesti di nero, che può, a una prima occhiata, sembrare non altro che una bizzarria, ma che poi, attraverso la sua aggressiva modernità lascia trasparire le sode virtù plastiche e costruttive di questo giovane scultore”.
Così lo scrittore Dino Bonardi: “La sua Figura femminile conferma il veloce sviluppo dell’arte di questo scultore […] Noi lo dicevamo che il Fontana sembrava un barbaro, ma invece era un raffinato. La finezza espressiva di quest’opera è intensa, benché immersa in un’atmosfera di espressioni preminentemente sensuali”.
Piero Torriano, uno dei primi sostenitori dello scultore, ne avverte la forza espressiva ma ne critica l’eccentricità, l’eccessiva voglia di sbalordire: “quanto lontano poi egli sia dai greci si può ben vedere nella sua figura, ch’è fermata in un gesto tipico della femminilità, con tanta immediatezza e agilità. Questo artista è veramente pieno d’estro e di sagacia, ma fin troppo aggressivo e non privo di atteggiamenti alquanto «fumisti». Abusa di modi che suggeriscono più che non definiscano, rimanendo spesso in una facilità approssimativa; ma quando vuole sa pur modellare spedito e netto, con un nerbo non ordinario, come si vede in certe parti del Pescatore”.
*Questo è un estratto della tesi con cui Laura Bartolommei si è laureata in Storia dell’arte all’Università Statale di Milano con una tesi su “Le mostre sindacali in Lombardia, 1928 – 1935”. Il brano, dal quale ho espunto le note e le rigorose puntualizzazioni dell’autrice, è stato scelto dalla stessa Laura che, il 9 aprile prossimo, accompagnerà i soci dell’Associazione Donne della realtà, amici, parenti, conoscenti e cultori del bello alla scoperta di questa e di molte altre opere d’arte in mostra al Museo del ‘900 di Milano. Chi ci ama ci segua.