“Smuggling”, la parola orribile dei trafficanti di esseri umani

di Andrea Di Nicola e Giampaolo Musumeci

traffico

I principali Paesi di origine del traffico di esseri umani (fonte http://www.camera.it/)

Lungo le rotte dell’immigrazione, collocati in punti nevralgici e strategici, esistono tanti «area manager» che coordinano le fasi del traffico. Non sono i manovali dello smuggling (attività che indica il diretto trasporto o accompagnamento dei migranti attraverso le frontiere, ndr), non sono quelli che fanno il lavoro sporco. È una catena di individui indipendenti che interagiscono tra loro. Questi area manager negoziano direttamente le attività necessarie con fornitori locali di servizi che risiedono nei paesi di transito. Garantiscono prestazioni come un passaggio in auto, una sosta di un mese in un appartamento in attesa di un passaporto falso, la corruzione di un agente di frontiera. Questa figura e il migrante hanno spesso la stessa origine etnica.

Ciascun area manager che controlla il passaggio su uno o più paesi può decidere di affidare in outsourcing la concreta attività di smuggling a un coordinatore del posto o direttamente ai fornitori di servizi locali. È un sistema di subappalto che permette ai grossi trafficanti di sporcarsi il meno possibile le mani e sfuggire alle forze dell’ordine. Tanto più che spesso l’area manager, il grosso trafficante, ha una seconda attività rispettabile e legale, praticata sotto gli occhi di tutti: un phone center, un bazar, un’agenzia di viaggi.

I migranti sono accompagnati da differenti smuggler per la maggior parte del viaggio. È quindi raro che uno stesso trafficante possa controllare l’intero viaggio. I fornitori di servizi e gli area manager non sono membri di un’unica organizzazione gerarchica, fanno affari abbastanza stabilmente e la loro collaborazione è basata sul profitto. Il lavoro insieme si basa su criteri di efficienza e opportunismo: lavora di più chi è più bravo e chi si è fatto conoscere meglio lungo le rotte del traffico. Non diversamente dalle imprese legali, dalle Spa, dalle aziende che producono beni materiali, o dalle società di servizi, i gruppi criminali cercano di massimizzare la loro efficienza attraverso la diversificazione dei ruoli all’interno dell’organizzazione. Separare i ruoli e assegnare funzioni specifiche ai membri qualificati è un modo per proteggere l’organizzazione, per lavorare meglio e quindi fatturare di più.

I ruoli all’interno di un’organizzazione di trafficanti di migranti sono: coordinatore o organizzatore, cioè l’amministratore delegato, i componenti del Cda; investitore, chi ci mette i soldi o i mezzi (una barca, le armi, i camion); il reclutatore o agente, che sostanzialmente è il venditore del servizio, il commerciale; il trasportatore, ossia il guidatore (di camion, di auto o di gommoni o barche); la persona che si occupa anche di mantenere l’ordine (se si portano gruppi numerosi bisogna avere le armi pronte); i fornitori di servizi o personale di supporto in loco; la persona che si occupa del recupero dei crediti; il riciclatore di denaro; il pubblico ufficiale corrotto o protettore. Quando le reti di trafficanti ricercano persone per ricoprire queste posizioni, spesso le trovano nel mondo «legale». Servirsi di individui incensurati, che svolgono un lavoro regolare, che provengono dalla sfera, almeno all’apparenza, lecita è un modo molto comune di operare dei gruppi di smuggler. Così i contatti con i migranti sono stabiliti soprattutto attraverso il passaparola, ma anche a mezzo di pubblicità su giornali locali e utilizzando agenzie di reclutamento o di viaggi.

Il tipo di network nel quale si trova immerso El Douly è una grande rete fluida. Come ha fatto il nostro giovane egiziano a entrare nella rete di smuggler che dall’Egitto e poi dalla Libia trasportano gente in Europa? Si è avvicinato a quel mondo quasi per caso, grazie al suo ristorante. Non è partito come piccolo scafista, né come «agente reclutatore». Nel business è entrato nel modo migliore, in punta di piedi: rendendosi utile, con discrezione, e diventando poi indispensabile agli altri nodi della rete.

Molti principianti entrano nel giro grazie a legami personali, ma anche grazie alle capacità che sviluppano attraverso il loro lavoro, la loro storia professionale. Alcuni iniziano perché hanno delle competenze particolari e sono attivi nel settore dei trasporti, sono «padroncini» o pescatori, oppure hanno occupazioni che riguardano l’import-export e controlli doganali o, ancora, delle consulenze finanziarie e legali come revisori, ex impiegati di dogane, banche e uffici di cambio. Sono avvocati o, più in generale, persone che esercitano attività imprenditoriali lecite che li mettono in contatto con le persone «giuste». E queste attività diventano un trampolino di lancio per la loro escalation malavitosa.

El Douly nella sua carriera ha seguito una catena. All’inizio a Bengasi è diventato piuttosto noto tra i migranti che cercavano di partire. Poi, piano piano, è entrato in contatto con i libici che appartengono alla confraternita dei senussi. Loro stessi hanno iniziato a cercarlo per il business. El Douly non si è fatto mai sfruttare, nessuno di loro gli ha mai estorto denaro. Allo stesso tempo, lui non poteva competere con quella gente, erano troppo forti e pericolosi, tutto doveva passare da loro. E con loro ha dovuto fare affari. El Douly è quindi entrato in una rete fluida, ma consolidata. È diventato un attore in più, un fornitore di servizi affidabile.

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*Un estratto da Confessioni di un trafficante di uomini di Andrea Di Nicola e Giampaolo Musumeci (Chiarelettere, 2014), scelto da Erica Sai.  Mentre ci prepariamo a formalizzare la nomina di Erica a nuova segretaria dell’Associazione Donne della realtà, le affidiamo l’incarico di seguire per noi il convegno Migrazione e traffico di esseri umani, in programma l’8 febbraio a Milano su iniziativa di Mani Tese, Pime e Caritas Ambrosiana.

(Paola Ciccioli)

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