«Le donne non ficchino mai il naso in un libro, né impugnino mai una penna»

di Sylvain Maréchal

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“Alice in Wonderland”, George Dunlop Leslie, 1879

I. La Ragione vuole (anche a costo di sembrare incivile) che le donne (nubili, maritate o vedove) non ficchino mai il naso in un libro, né impugnino mai una penna.

II. La Ragione vuole:

All’uomo – la spada e la penna.

Alla donna – l’ago e il fuso.

All’uomo – la clava di Ercole.

Alla donna – la conocchia di Onfale.

All’uomo – i prodotti del genio.

Alla donna – i sentimenti del cuore.

III. La Ragione vuole che ogni sesso stia al suo posto, e che ci resti.

Le cose vanno male, quando i due sessi invadono i rispettivi campi.

La luna e il sole non brillano insieme. (S.)

IV. La Ragione, come la lingua francese, non vuole che una donna sia scrittore: questo appellativo, in ogni sua accezione, è esclusivo appannaggio dell’uomo.

V. La Ragione vuole che i sessi differiscano nelle capacità come nell’abito.

Un uomo che cuce è altrettanto rivoltante e scandaloso quanto una donna che scrive; e un uomo che si agghinda i capelli, quanto una donna che cesella eleganti fraseggi…

VI. La Ragione ribadisce questo antico proverbio:

«La parola è femmina, lo scritto è maschio».

È una ripartizione che sembra voler assegnare a ogni sesso il talento che più gli compete.

N.B. La saggezza delle nazioni è nei loro proverbi.

VII. La Ragione vuole che le donne siano dispensate dall’imparare:

a leggere,

a scrivere,

a stampare,

a incidere,

a compitare,

a solfeggiare,

a dipingere ecc.

Non appena sanno fare una di queste cose, ciò va regolarmente a scapito dell’armonia domestica.

VIII. Dunque, la Ragione vuole che la penna e il pennello, la matita e il bulino, siano preclusi alle donne, come l’ago e il fuso agli uomini.

IX. La Ragione vuole che nelle arti del disegno, della pittura e dell’incisione, le donne non perdano tempo accampando pretese che superino quelle della dolce Dibutade. Questa giovane bellezza di Sicione tracciò sul muro, al chiarore di una lampada, il profilo dell’ombra del suo giovane innamorato, costretto a partire per un lungo viaggio.

(Vedi la Storia naturale di Plinio, XXXV, 12.)

X. La Ragione e la Decenza disapprovano assolutamente che delle giovani disegnatrici trascorrano giornate intere a rimirare e a copiare le armoniose proporzioni dell’Apollo del Louvre, del Lantin, dell’Ercole Farnese ecc.

XI. La Ragione vuole che le donne, nel tempo libero, imparino a cantare spontaneamente, senza libri né maestri; ma che ignorino per tutta la vita quante sono le note musicali, quante le lettere dell’alfabeto, quante le sillabe di un verso alessandrino o di un pentametro.

Le donne sono nate per essere amabili e virtuose, non per diventare virtuosiste ed erudite.

XII. La Ragione vuole che i mariti siano gli unici libri delle loro mogli; libri viventi, ove giorno e notte esse imparino a leggere il proprio destino.

«Segno di buona creanza e commendevol cosa (dice un vecchio libro) sarebbe udire una moglie che dice al marito: amico mio, sei tu il mio precettore, il mio maestro di filosofia ecc.»

(Istituzione dell’uomo, 1626.)

N.B. Una donna brillante, autrice di cinque o sei grossi volumi, andò a trovare una madre di re femmine e tre maschi:

«Queste (disse la madre di famiglia presentando il marito e i figli alla scrittrice), sono le mie opere, la mia biblioteca».

XIII. La Ragione vuole che le donne imparino la lingua materna, e nessun’altra:

«Per una donna (ha detto qualcuno), parlare una lingua straniera è pura vanità».

(Lettera a una signorina, 1737.)

XIV. La Ragione vuole che alle donne sia condonato lo studio arido e freddo della grammatica; nel loro destino vi sono occupazioni più appaganti e meno sterili.

XV. La Ragione vuole altresì che le donne siano dispensate dalla storia e dalla geografia, non meno ingrate; la loro debole memoria mal sopporta il fardello delle date e di una difficile nomenclatura.

Del resto, che male c’è se una donna incappa in qualche anacronismo?

XVI. La Ragione vuole che le donne si astengano dall’astronomia: contino le uova giù in cortile, non le stelle del firmamento!»

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*Sono i primi sedici articoli del Progetto di legge per vietare alle donne di imparare a leggere, redatto (ma davvero!) da Sylvain Maréchal nel 1801 (Archinto 2007). Quanto è costata all’umanità questa sfilza di precetti misogini che l’illuminista francese ha avuto la lucida follia di mettere ordinatamente nero su bianco? La domanda accompagna la presentazione oggi a Milano di BookCity, la manifestazione che dal 17 al 20 novembre 2016 tornerà a disseminare libri in ogni angolo della città e a diffondere il piacere di leggere e scrivere.

(Paola Ciccioli)

6 thoughts on “«Le donne non ficchino mai il naso in un libro, né impugnino mai una penna»

  1. Non sono mai troppe le segnalazioni di questo tipo, Paola. Se si pensa che il Maréchal si è battutto per l’abolizione della schiavitù dell’uomo ma, evidentemente, non della donna e che, nella storia e cultura maschile, rappresenta un illuminista. Ci vorranno secoli per riscrivere la Storia e la Cultura: è sempre tempo per farlo, dunque.
    Grazie, Angela.

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