Sabato 1° ottobre Mariagrazia Sinibaldi sarà a Osimo, in provincia di Ancona, per presentare il suo piccolo-grande libro “È come vivere ancora. La vera signora del blog”, curato ed edito dall’Associazione Donne della realtà. Alle ore 18, all’Istituto Campana, che così spesso ricorre nei ricordi di Mariagrazia, la giornalista Margherita Rinaldi la accompagnerà lungo la strada dei sentimenti che l’hanno portata, ottantenne, a diventare scrittrice.
Per prepararci a questo appuntamento, pubblichiamo oggi un commento che l’amico Giampiero Masi – accento e cuore ancora marchigiani nonostante i tanti anni a Milano- ci ha inviato qualche tempo fa, dopo aver letto quel che ha scritto la nostra senior blogger in “Bizzarrie delle parole e misteri del dialetto: «Ma el cannò de figo che c’entra?»”.
di Giampiero Masi
Bellissimo pezzo su Osimo. Brava Mariagrazia. Farò girare il link fra i miei amici osimani. Ne saranno contenti. Belle le foto, anche se oggi i posti sono cambiati.
La storia di Boccolino e della battaja del porcu la conoscevo, perché non c’è osimano che possa ignorarla: è una delle poche glorie cittadine e ce ne facciamo vanto più per onta degli anconetani che per ostentazione personale.

Ripubblichiamo eccezionalmente tre immagini d’epoca che abbiamo già utilizzato per illustrare un post di Mariagrazia Sinibaldi su Osimo (Ancona)
Dall’alto, la prima immagine è quella di Piazza Boccolino, com’era quando io ero bambino. Nel tempo ha cambiato forma più volte, sia nell’acciottolato che nell’arredo. Ogni giorno a mezzogiorno preciso, si radunavano centinaia di colombi che venivano sfamati da un addetto comunale. Già allo scoccare dell’ultimo tocco del campanile, che annunciava le 11,45, i piccioni incominciavano a roteare attorno al palazzo comunale sempre più velocemente e a intervalli sempre più brevi, finché l’orologio non rintoccava il mezzodì. Solo allora si posavano sulla piazza e iniziavano il banchetto. Per noi bambini era uno spettacolo magico e restavamo sempre piacevolmente stupiti. Poi scoprirono che questi uccelli sporcavano ed erano portatori di malattie… e tutto finì.

Osimano doc, Giampiero Masi fa rivivere in queste sue riflessioni alcune atmosfere della bella cittadina marchigiana
La seconda foto è più antica di me. Quella corriera ai miei tempi non c’era già più. Era il collegamento con la stazione ferroviaria, che è in pianura (Osimo si sviluppa in una collina di oltre 200 metri) e dista 7 chilometri. Quelle strane imposte che si vedono nel muro di sfondo, appartengono alla casa circondariale, che però non ricordo sia mai stata frequentata da alcuno, sia perché allora gli osimani erano tutti onesti, sia perché (o soprattutto!) funzionava molto meglio quella di Ancona. Tanto per restare nei nomi cittadini, il luogo – peraltro in pieno centro, alle spalle del comune e della piazza Boccolino – era più noto col più semplice sostantivo di “le Carceri”.
L’ultima immagine rappresenta una veduta dai giardini pubblici, noti come “Piazzanova” (non chiedermi perché). Ma anche questo panorama non è più lo stesso. Lì, alla confluenza fra la via Cialdini (quella in discesa) e la via Leonetta (anche questo nome meriterebbe un’indagine da parte di Mariagrazia), sotto questi superbi alberi, si davano appuntamento gli innamorati. Prima ammiravano il panorama e il tramonto incombente e poi si spostavano nei vicini Giardini pubblici, al riparo da sguardi indiscreti (ma non dai nostri di bambini curiosi, che amavamo fare le “scopertine”, cioè spiare le coppiette e i loro gesti strani).
Il “Cannò de figo” deve il suo nome ad una storia persa nei secoli e quindi più leggenda che altro. Si narra che nel bel mezzo di un’ennesima guerra fra il comune di Osimo e quello di Castelfidardo, gli osimani decisero di costruire una grande bocca da fuoco per bombardare la città nemica, distante pochi chilometri. Non avendo, però, il materiale adatto, usarono il legno di un grosso fico. Svuotato opportunamente, il tronco venne riempito di polvere da sparo e di ogni tipo di proiettile. Accesa la miccia si attese il botto. Naturalmente il legno non resse l’urto e il risultato fu una strage nelle file osimane. Il comandante, non si perse d’animo davanti a tanto sangue e per nascondere il fallimento dell’impresa, esclamò: «Se il cannò qui ha fatto tanti morti e feriti, figuriamoci quello che è successo a Castello!».
Naturalmente noi osimani non crediamo a questa leggenda e signorilmente la ignoriamo. A Castelfidardo, invece, se la ricordano benissimo. La bombarda oggi troneggia al centro di una rotatoria del Borgo San Giacomo, rione popolare della cittadina. L’opera è una copia dell’originale del 1443 di Niccolò Piccinino, che rimase per 400 anni nell’atrio del Palazzo civico di Osimo, finché i piemontesi nel 1862 la trasferirono nel Museo nazionale di artiglieria di Torino. Nel 1988 fu donata una seconda copia al municipio ed è conservata nell’antiquarium del Palazzo municipale.
Grazie, Paola e grazie Mariagrazia. Mi avete fatto venire una bella botta de nostalgia.

L’immagine che abbiamo usato su Facebook per annunciare la presentazione della prima “creatura cartacea” dell’Associazione Donne della realtà. Appuntamento sabato 1° ottobre, ore 18, all’Istituto Campana di Osimo: il libro di Mariagrazia Sinibaldi sarà presentato dalla giornalista Margherita Rinaldi mentre l’autrice darà voce alle sue pagine sulla «giovinezza marchigiana»
Su Facebook, Mariagrazia ha subito risposto a Giampiero così: «Le Carceri (oggi Palazzo delle poste) si trovavano proprio di fronte al portone di casa mia sulla piazzetta delle erbe (oggi più prosaicamente piazza Rosselli) . Ho una cugina della mia stessa età e per fare distinzione io venivo chiamata Mariagrazia alle carceri».
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