di Luca Bartolommei

Milano, giovedì 22 settembre, Teatro degli Arcimboldi: Toquinho e l’ensemble di Ophélie Gaillard chiudono il Festival MITO SettembreMusica 2016 (foto dalla pagina Facebook di MITO)
Il palco del teatro degli Arcimboldi è illuminato dalle luci dell’alba, un’alba verdeoro, alba dai colori del Brasile.
L’ensemble di musicisti suona piano, sottovoce, al centro il chitarrista canta dolcemente e sfiora le corde dello strumento con la delicatezza e la precisione che solo chi ha tanta esperienza e tanta anima può avere. Che tocco… Toquinho! Alvorada, appunto, alba, ci viene servita in tutta semplicità, la semplicità del samba vecchia scuola. Cartola ha inciso il brano nel 1974, a 65 anni, ma questa alba magari era un’alba della sua infanzia, con i suoni e le emozioni che possono stare nella testa di un bambino o di un ragazzo, mi piace pensare così.
Eh sì, l’ensemble. Pianoforte, percussioni e batteria, contrabbasso, trombone e violoncello. Violoncello?
Ecco il secondo protagonista della serata. Un violoncello suonato mirabilmente da Ophélie Gaillard, chioma bionda, di rosso vestita e calzata.
Torniamo all’inizio della serata, il cui tema “Jobim o Villa-Lobos?” nei fatti si è rivelato appena sfiorato, in quanto tra tagli e stravolgimenti alla scaletta, i musicisti hanno fatto un po’ di testa loro, ma questo è anche molto divertente. Sarebbe comunque stato carino se avessero annunciato i brani.

Toquinho e la violoncellista francese Ophélie Gaillard (https://www.facebook.com/teatrodegliarcimboldi/photos)
Partono in quattro con il dialogo prolungato tra bandoneón e cello, sciorinando brani di Piazzolla e di non so chi altri, ri-arrangiati dall’ottimo pianista, che insieme al contrabbassista sostiene il peso delle armonie, mentre i solisti quasi si lanciano una nelle braccia dell’altro, e viceversa, come potrebbe essere altrimenti, accidenti, è tango, chiaro, tango!, poi rallentano, in pratica si fermano, si studiano come in un surplace da velodromo, chi partirà per primo? Il bandoneón sembra abbandonare tutti con un sussurro profondo, basso, sembra usi un effetto tipo Leslie, poi riparte fortissimo e sugli acuti, ed ecco che un violoncello-gatto non gli dà tregua, ormai sedotto dalla Gaillard, e lo insegue, lo artiglia e lo ghermisce sui sovracuti per un finale secco, quasi brutale, improvviso. Respirate pure. Ma si ricomincia e il mantice si dilata e si comprime, il violoncello gratta, fischia, il vestito rosso si scompone, si sbattono i piedi per terra, quasi si scalcia, il contrabbasso si agita mentre il suo conduttore saltella, in levare, cello percussivo, suonato in tutta la sua estensione, che manda, con l’ultima arcata, con l’ultima energia rimasta, l’ultima nota possibile per fare concludere al bandoneón dilatato a tutte braccia.
Intervallo troppo lungo e musicisti di nuovo sul palco con batterista giovane e sorridente e percussionista quasi nascosto da una marea di attrezzini vari, che però faranno la differenza. Il trombonista è molto compunto.
Parte la musica e dal nulla, potenza del wireless, ci arriva il suono di una chitarra che dopo qualche secondo vediamo entrare in scena, ben sistemata sull’importante stomaco di Antonio Pecci Filho, in arte, e che arte, Toquinho.
Inizia con uno dei due brani che avrei tanto voluto ascoltare, l’altro, purtroppo non è in scaletta, ma non lo riconosco subito, il pianista lo ha arrangiato velocizzandolo molto, ma non appena la voce del Maestro canta di “um velho calçaõ de banho…” mi trovo, con Paola accanto me che sogna il suo acquarello, su una sdraio di vimini a passare una splendida Tarde em Itapuã, sotto il sole di Salvador de Bahia. Anche in questo brano, saltelli in levare del contrabbassista.
Jobim, Pixinguinha, di cui ha eseguito in maniera impeccabile Carinhoso, Cartola con la sua alba ipnotica e gli acuti del violoncello, brani suoi, insomma, Toquinho ci ha mostrato una volta in più la sua classe, tenendo il palco con leggerezza, dialogando emotivamente col pubblico e, soprattutto musicalmente, con un gruppo di musicisti eccellenti con cui ha, tra l’altro, avuto pochissimo tempo per provare.

«Sopra un foglio di carta, lo vedi il sole e’ giallo…» (https://www.facebook.com/ophelie.gaillard.violoncelliste/photos)
Andiamo verso la fine del concerto e parte un brano che, ancora, non riconosco subito ma che, dopo una bellissima introduzione, diventa Samba pra Vinicius, il secondo dei pezzi che ho nel cuore. Emozione forse egoistica, suggestione di sicuro, ma al Saravà! finale il singhiozzone è scappato. Viva i cambiamenti di programma a sorpresa.
Acquarello non si commenta. Va solo ascoltata, e riascoltata, perché è bello, dalla musica, farsi portare e riportare a ricordare e ricordare ancora emozioni che ci hanno accompagnato in qualche istante nella nostra vita, istante che, questa volta no, non scolorirà.
P.S. Come bis ha riproposto Samba pra Vinicius. L’ho cantata a tutta voce. Saravà pra você.