A Taranto, città in affanno che tenta di difendersi da sé stessa

di Giorgia Farace

«Molti edifici sono pericolanti. Sembra di camminare in una città bombardata, la cui unica linfa sono le voci delle persone che alcune di queste case ancora le abitano», aveva osservato Giorgia Farace quattro anni fa, di ritorno dal suo viaggio a Taranto. È di oggi – 18 giugno 2020 – la notizia che la città pugliese, il cui nome è purtroppo legato agli effetti nocivi causati alle persone e all’ambiente dalle sue acciaierie, dalla prossima settimana alle fermate dell’autobus avrà dei cartelli con indicazioni dettagliate sui preziosi reperti custoditi nel Museo archeologico nazionale di Taranto.

Una ragione in più per riproporre questo articolo di Giorgia Farace.

Ecco i pannelli che i tarantini troveranno dalla settimana prossima in 30 fermate dell’autobus: «Le foto digitali saranno collocate con sostituzione semestrale e saranno corredate di didascalie che inviteranno a prendere visione diretta all’interno del museo del singolo reperto, del quale è indicata l’esatta collocazione (sala e vetrina)» https://www.laringhiera.net/taranto-le-foto-dei-reperti-storici-alla-fermata-del-bus/

Accolta da due grandi colonne doriche, mi immagino di essere sulla soglia di scavi antichi, di echi storici, di siti archeologici. Mi ritrovo invece a scoprire una Taranto fatta di piccole vie. Dove la storia e le origini della città respirano affannosamente il poco ossigeno che resta al di sotto del cemento che ricopre la via romana. Ho visto una città vecchia (perché è così che ce l’ha definita un suo abitante: vecchia perché è lì che si è sviluppata, dai greci in poi. Non è un borgo – nucleo di case all’esterno delle mura cittadine, accezione che tentano di darle in tanti) fatta di nuove speranze. Una città vecchia dove nei secoli la storia si è stratificata su altra storia. Dove una civiltà ha ricoperto la precedente, ricostruendo palazzi, templi, chiese, strade, cunicoli, con le pietre e i materiali delle devastazioni precedenti.

Una città vecchia cresciuta su una penisola. Che con gli anni si è fatta isola per difendersi meglio dagli attacchi esterni. Ma che ora deve solo cercare di difendersi da sé stessa. Una città in cui «da due settimane la domenica non si ritirano più i rifiuti, perché poi bisogna pagare gli straordinari, e alle persone non piace lavorare la domenica e si mettono in malattia». Cani randagi che scavano nei cassonetti; un’aria maleodorante che pervade alcune delle vie di un gioiello unico in cui la speranza e la dignità delle persone viene meno, loro malgrado. Loro che le mura e le case in pericolo di crollo non le abbandonano. Circondati da qualche iniziata speculazione edilizia. Imprenditori che acquisteranno delle mura barcollanti per pochi soldi, e le rivenderanno o le riaffitteranno a chi a quell’isola appartiene, per cifre inique. E chissà se almeno nel loro unico tentativo di profittare da una situazione di disagio, riusciranno almeno a vedere la bellezza di ogni angolo, dei vecchi portoni, degli archi che uniscono i cortili, delle strettoie che devi trattenere il fiato per passare. O se diventerà un altro mostro di cemento. Fatto di citofoni ottone brillante, di ascensori veloci e elettrodomestici nuovi fiammanti.

Oggi alcuni di loro scavano. Scavano nel passato, il loro. Recuperare quanto sta sotto anni di ricostruzione e devastazione richiede tempo (e denaro, che non è mai abbastanza). Si aggregano, anche la domenica pomeriggio, per condividere ogni giorno la scoperta di un metro di città sotterranea in più. Spolverano pietre, grandi e piccole; un’accozzaglia di resti riconducibile a periodi storici differenti, a seconda della loro grandezza e disposizione, come per le montagne scavate da un ghiacciaio. Pochi ai piani alti capiscono: loro occultano, girano lo sguardo. È impossibile non vedere. È impossibile non rendersi conto di quanto potrebbero perdere se dovessero continuare a nascondere la polvere sotto il tappeto, con la bellissima parvenza di una pavimento tirato a lucido.

Perché chi fa tutto ciò lo sa. Non è una questione solo storica. È un lavoro che ricostruisce dal basso, che oltre al carattere d’interesse (oserei dire) nazionale, ha uno sfondo sociale. Mostrare ai ragazzi che oggi vivono imprecando verso questa cattiva amministrazione, la bellezza su cui riposano, giocano, studiano, sfrecciano coi loro motorini rumorosi.

AGGIORNATO IL 18 GIUGNO 2020

5 thoughts on “A Taranto, città in affanno che tenta di difendersi da sé stessa

  1. Molto reale ! Grande Giorgia ! Le emozioni che si vivono viaggiando non sono sempre facili da raccontare , senza sfiorare argomenti che alla fine non risultano affini alle mozioni vissute.
    Complimenti davvero .

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