di Adele Colacino

Adele Colacino, che ha fornito anche le immagini di questo servizio, racconta una giornata piena di sorprese ed emozioni nel Musaba, il parco-museo di Mammola, in provincia di Reggio Calabria. In questa immagine, “Il sogno di Giacobbe”
Una domenica, trascorsa fuori di casa, mi ha fatto tornare il desiderio di condividere, scrivendo, le mie emozioni.
Quasi non chiedo informazioni sul giro che faremo, dopo un inverno trascorso in gran parte in casa per alcuni incidenti e accidenti che hanno liso pazienza e divano, esco per una escursione di gruppo.
Sarà una passeggiata di circa quattro ore, facile – dicono – per tutti, il gruppo esperto e preparato informa e consiglia bagaglio, vestiario, pranzo leggero al sacco.
Il mio piede sinistro e sinistrato di recente mi suggerisce di acquistare nuove scarpe e racchette di sostegno.
Si parte presto, ma sempre con la fatidica e consolidata mezz’ora di ritardo sull’ora prevista.
Poiché non ho mai deciso di sostituire il mio orologio di sempre con quello che usano quasi tutti i meridionali, miei cari amici e non, il tempo di attesa, per me che arrivo prima dell’ora fissata, si allunga di almeno altri quindici minuti.
Apprendo, o forse solo metto a fuoco in memoria che, come recita il programma : “Al mattino è prevista la visita guidata, che costituisce una vera e propria avventura dentro le meraviglie del Musaba – il parco-museo, esplorando l’architettura e l’arte ambientale che caratterizzano l’intera area. Natura ed arte si contaminano a vicenda creando un luogo surreale d’intensa ispirazione artistica, che fa da cornice alle bizzarre installazioni scultoree e architettoniche disseminate nel parco e all’antico complesso monastico Santa Barbara che custodisce al suo interno le opere d’arte visive e la titanica opera Il sogno di Giacobbe, sintesi eccelsa di pittura e architettura”.
Incontreremo e conosceremo anche gli artisti Nik Spatari e Hiske Maas che sono i fondatori di questo grande progetto che cresce e si arricchisce continuamente.
Finalmente si parte, conosco già molte persone che formano il gruppo, alcuni visi pur sconosciuti mi colpiscono e so che li conoscerò meglio entro stasera, di altri non riesco a fermare immagini e voci, resteranno a me sconosciuti ancora domani. Sarà certamente così anche per loro, non ricorderanno il mio viso e la mia voce.
Corre il pullman sulla 106, due neo nonni orgogliosi della loro nuova nipotina hanno portato un vassoio di pasticcini e confetti rosa da offrire, qualcuno con la verve del capocomitiva al microfono chiede un applauso per i nonni e per la nipotina, arriva il battimani abbastanza fiacco, è difficile applaudire tenendo in mano un pasticcino e qualche confetto appiccicoso per la calura che si avverte anche con l’aria condizionata a bordo.
L’età media dei passeggeri impone una fermata per un caffè che in effetti ha nel risvolto “altre” esigenze. Sempre per gli straordinari orologi made in sud, la sosta si prolunga un po’ oltre la scadenza inutilmente richiesta al microfono (non mi stanno simpatici i microfoni, ma quelli impugnati sui pullman mi provocano nausea più delle strade accidentate in percorsi a tornanti) .
Uno degli organizzatori ricorda che Nik Spatari ha fissato un appuntamento per l’incontro e che si rischia di perderlo arrivando troppo tardi. Vivaddio anche il Maestro, che ha vissuto in giro per il mondo e che vive da circa mezzo secolo con una olandese, sempre calabrese è! Comprenderà il passo degli orologi nostrani.
Arrivati, si scende dal pullman e subito, lungo il viottolo che ci porterà nel Parco-Museo, ci vengono incontro le prime opere.
Sui piloni dipinti dall’artista, in alto, serpeggia l’autostrada e per un attimo mi si confonde in testa vista/udito, il rombo dei veicoli che corrono sull’asfalto sembra uscire dalle fauci spalancate dei mostri colorati che ci accolgono.
Entro in un mondo magico.
Il sole fortissimo costringe a tenere gli occhi socchiusi anche con gli occhiali scuri, guardo dove metto i piedi ché dopo la caduta, come dei link sui quali non volevo cliccare, gli anni sono apparsi tutti insieme, come il gruppo che giunge improvviso nel giro d’Italia dopo i primi che fanno battistrada, il caldo costringe a chinare il capo ed il rombo delle auto sulle giunture della strada in alto, cade in basso trasformato e nuovo.
Non so cosa incontrerò ancora, seguo il gruppo ammutolito dallo stupore e dallo sbalzo di temperatura fra l’aria condizionata del bus e il calore che esce dalle pietre ovunque dipinte, mosaicate, piastrellate, coloratissime.
Un lastricato cocente in salita ci porta davanti alla collina sulla quale sorge la casa, “dominare lo spazio e la proporzione in tutte le cose, tale è la vera intenzione di Spatari, nella sua ricerca plastica. La pittura, il mosaico, la scultura, l’architettura sono specificatamente dipendenti dallo spazio, legate alla necessità di gestirlo”.
All’interno tutto è opera d’arte: vetri , tele, tavole, sculture, statue.
Ci accoglie Iske Maas, la compagna/artista del Maestro, ci indica il percorso, ci racconta delle grandi difficoltà della Fondazione di trovare spazi che la aiutino a crescere e a sopravvivere, ci chiede di segnalarla al governo con una mail.
Ci fa intravedere anche il loro spazio privato attraverso un lucernario aperto nel soffitto della ex chiesa che ospita una mostra permanente d’arte e di modellini di grandi opere esterne.
Sembra di stare in un caleidoscopio, tutto è colore, scende dal soffitto e si sparge sulle pareti piene di tele, tavole e vetri. Gli spifferi di luce attraverso le finestre strette o i mosaici di vetri dissolvono i pensieri, mi drogano beneficamente lo spirito e la testa. Il doversi girare, ruotando il corpo per guardare tutto finisce ancor di più, con il supporto della mia perenne dolente cervicale, a sperdermi liquida nei corpi nudi e sospesi di una cappella sistina calabrese sconosciuta.
La voce di Iske che parla, ancora dopo tanti anni, con un forte accento olandese e con un tono basso, non mi raggiunge chiaramente, dovrei farmi largo nel gruppo, penso anche che fra qualche giorno la mia memoria, diventata esperta di raccolta differenziata, suddivide e conserva ricordi lontani e scarta avvenimenti recenti con estrema facilità.
Per fortuna trovo un piccolo banco sul quale sono esposti alcuni libri che porterò con me e che potrò riguardare ogni tanto.
E all’improvviso appare Nik.
È nato a Mammola, nella provincia di Reggio Calabria, nel 1929. È un uomo bello, sotto i jeans e la felpa conserva il corpo di Giacobbe.
Giacobbe è “un sogno lungo 14 metri, largo 6, alto 9. Si estende nell’abside e nella volta dell’ex chiesa di Santa Barbara (ex ruderi reinventati da Nick nel 1985/6)… Giacobbe è Nik e Nik è Giacobbe”.
Gli metto in mano il libro sui mosaici che ho preso da portare via per una firma, una sigla, lui lo apre e sulla prima pagina colorata di giallo e nuda, col pennarello traccia con poche tratti il mio volto, mentre mi guarda con gli occhi che sorridono. Sono imbarazzata e faccio mille smorfie mentre Nuccia riprende la scena divertita.
Non parla Nik, da piccolo ha perso progressivamente l’uso della parola e dell’udito, eppure già a soli nove anni il valore delle sue opere era riconosciuto e premiato.
Dall’Aspromonte è partito giovanissimo per girare per il mondo e all’Aspromonte Nik ha scelto di tornare.
Tra due torrenti, il Torbido e il Neblà, sui resti di un monastero certosino e di un casello ferroviario abbandonato alla boscaglia, in questa terra bellissima e amara e troppo spesso nota solo per i misfatti, Nik e Iske hanno creato un incanto.