Emily, il genio vestita da zitella

di Natalia Ginzburg*

Natalia Ginzburg (Palermo 1916 - Roma 1991)

Natalia Ginzburg (Palermo 1916 – Roma 1991)

Tempo fa sono stata ad Amherst, il paese della Dickinson: un paese situato non molto lontano da Boston, nel Massachusetts. Ho visto la sua casa. Ho visto anche un suo vestito in un armadio, un vestito bianco avorio a ricami, che sembrava una camicia da notte, e un plaid a lunghe frange che si metteva sulle ginocchia quando scriveva. Ma allora non conoscevo le poesie della Dickinson, né le sue lettere, e il mio sguardo era vuoto e distratto. Avevo letto alcuni suoi versi, e forse anche qualche sua lettera, ma avevo capito poco di lei. Non avevo un solo suo verso nella memoria. Amherst è un paese molto bello, tutto prati verdi, casette verniciate di bianco sparse fra le querce, fra l’edera, le magnolie e le rose. Mi parve però che avesse, nella sua grazia, qualcosa di lezioso e professorale. Dietro a questo aspetto professorale e lezioso c’era una noia desolata e spettrale. L’aspetto professorale il paese deve averlo preso dopo la morte della Dickinson, e in seguito alla coscienza d’esser la patria d’un grande poeta. Lo spettro della noia deve esserci stato sempre. Ricordo d’aver pensato che l’America è cupa e crudele nelle sue grandi città, e dove non è cupa e crudele, soggiace in una noia sterminata. Era estate e c’erano molte zanzare. Le zanzare dell’America sono diverse dalle nostre. Non hanno quel ronzio pigro e dolce, ma si avventano e sciamano sui visi umani in pieno giorno e in un protervo silenzio. Il silenzio e l’ombra della noia si stendevano a perdita d’occhio su quei prati fioriti e freschi.

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Emily Dickinson (Amherst, Massachusetts, 1830 – 1886), “la reclusa più amata d’America”.

Così ho visto Amherst pensando delle futilità sulle zanzare, sul caldo e sull’America, e non ho prestato una reale attenzione al luogo dove Emily Dickinson è nata e morta. Devo anche aver pensato varie futilità sulla Dickinson. Devo aver pensato che mi era antipatica. Avevo su di lei alcune nozioni confuse e avevo in mente due o tre cose che mi sembravano irritanti: che amava gli uccellini e i fiori; che andava incontro agli ospiti con una veste bianca (quella nell’armadio) e con in mano due gigli; che usciva poco di casa e tutt’al più andava a trovare una sua cognata che stava a un passo; che a questa cognata usava anche scrivere lettere appassionate; che i suoi soli interlocutori erano i suoi famigliari, un certo signor Higginson a cui mandava i suoi versi e che le rispondeva con pedanterie, due cugine di Boston, qualche signora; che i suoi soli amori, d’altronde non mai consumati, erano stati il giudice Lord e il reverendo Wadsworth, cioè un vecchietto e un prete. In questi giorni mi son messa a leggere le sue lettere, e poi, nel mio debole inglese, i suoi versi. Che grande poeta era questa Emily Dickinson. Mi è dispiaciuto di essere stata nella sua casa con tanta indifferenza. Doveva esserci, appeso nella sua stanza, anche un ritratto del giudice Lord. Ma non mi son curata di guardarlo. La sua casa e quel verde paese educato e sconsolato furono quasi i soli luoghi che essa vide nella sua vita. Andò una volta a Washington e a Filadelfia (dove conobbe il reverendo Wadsworth; l’amò; non si unirono mai; lui le fece qualche rara visita, due o tre nello spazio di vent’anni) e andò per brevi soggiorni a Boston a curarsi gli occhi.

Il 4 maggio a Torino, nell'Auditorium di Intesa Sanpaolo, Toni Servillo leggerà "Le piccole virtù": «Scritta nel 1962, questa raccolta di testi autobiografici e saggistici, ripercorre la vita della grande scrittrice, i suoi modi di «sentire», fatti, cose, gesti, voci».

Il 4 maggio a Torino, nell’Auditorium di Intesa Sanpaolo, Toni Servillo leggerà “Le piccole virtù”: «Scritta nel 1962, questa raccolta di testi autobiografici e saggistici, ripercorre la vita della grande scrittrice, i suoi modi di «sentire», fatti, cose, gesti, voci».

Tutto il resto fu Amherst e solo Amherst. Qualche incendio; nozze o morti di amici o famigliari; scambi di regali (polli arrosto, coroncine di fiori) fra lei e la cognata; la morte del padre («il suo cuore era puro e terribile»), la lunga infermità e la morte della madre; la morte di un piccolo nipote amatissimo, figlio della cognata e del fratello, che si era preso il tifo giocando in acque fangose; i rapporti ardenti e complicati con la cognata e il fratello; le rare visite del reverendo Wadsworth («la sua vita era piena di cupi segreti») e la notizia della sua morte. «Tutti coloro che perdiamo qualcosa ci tolgono; / resta ancora uno spicchio sottile / che, come luna, qualche torbida notte / obbedirà al richiamo delle maree».

Questa dunque fu la vita della Dickinson: una vita simile a quella di tante zitelle che invecchiano nei villaggi; con i fiori, il cane, la posta, la farmacia, il cimitero. Solo che lei era un genio. Di zitelle che passano la vita a scrivere versi nei borghi di campagna, in solitudine, con manie e stravaganze, ce ne sono infinite, e nessuna è un grande poeta; e lei invece lo era. Lo sapeva? non lo sapeva? Scrisse migliaia di poesie e non volle mai stamparle; le cuciva col filo bianco in fascicoletti. «Questa è la mia lettera al mondo / che non scrisse mai a me». Era difficile che il mondo potesse scriverle, dato che lei era, e voleva essere, immersa nell’oscurità di una casa. Ma certo il mondo non le scrisse mai, in nessuna forma, perché, finché fu viva, non le diede niente. E del resto la sua lettera al mondo non chiedeva risposta. Essa aveva orrore della notorietà (si sarebbe sentita «come una rana») e si limitava a mandare i suoi versi a un critico letterario, il signor Higginson, «per sapere se respiravano». Questo signor Higginson doveva essere una ben modesta persona. Lei certo se ne accorse, ma continuò a sottoporsi al suo giudizio. Fu sola. Ebbe intorno persone mediocri e di idee ristrette. Penso che lei le arricchisse di generose qualità nel suo spirito, e ne sollecitava le visite: ma quando poi venivano a trovarla, a volte non aveva voglia di vederle, e si limitava a qualche bisbiglio di saluto dietro la porta. Scrive a una sua amica, la signora Holland: «Dopo che fosti partita, venne l’affetto. La cena del cuore è pronta quando l’ospite se n’è andato».

*Che scrittura, che intelligenza. Che libertà nell’osservazione e che colta semplicità nel “lessico”. Avevo bisogno di trascrivere queste parole, tratte da “Il paese della Dickinson” – in “Mai devi domandarmi” – che chiude l’antologia “Dickinson. Poesie” (Oscar Mondadori, 2011). Me ne offre l’occasione l’omaggio che viene dato a Torino a Natalia Ginzburg con tre letture pubbliche di alcuni suoi scritti (4, 10 e 18 maggio), affidate agli attori Toni Servillo, Anna Bonaiuto e Lella Costa.

Dedichiamo con convinzione spazio a questa iniziativa perché chi ci segue sa quanto i libri siano fondamentali per noi, per questo blog e per l’Associazione donne della realtà: sosteneteci!

(Paola Ciccioli)

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