Di obblighi di fedeltà e antichi pregiudizi

di Erica Sai

Minica Cirinnà

«Sono nata a Roma il 15 febbraio del 1963 in una famiglia di origine cattolica e i miei primi studi li ho fatti in una scuola privata di suore nella Capitale». Comincia così il racconto che fa di sé Monica Cirinnà, la senatrice del Partito democratico prima firmataria del disegno di legge per la «regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze». Fonti: http://www.monicacirinna.it e http://www.senato.it

Il macabro spettacolo intorno alla legge sulle unioni civili ci porta dritti dritti a sbattere contro l’evidenza di un pregiudizio che si credeva antico, superato, e invece è più che mai attuale.

Certo, molte cose si possono dire in questi giorni di pseudo dibattiti, di accuse e scuse; molte questioni si sollevano e danno spunti per diverse riflessioni. Dai giochetti politici (c’è un cattivo odore di ricatti e ricattini tra forze governative, nel senso proprio di parti del Governo, nell’aria), passando per le modalità tecniche di votazione (questioni di fiducia su temi prettamente parlamentari che con il Governo non hanno niente a che vedere), fino alle pesanti e malcelate ingerenze della Chiesa cattolica (non vorremo dimenticare il segretario di Stato vaticano Pietro Parolin che dice al Parlamento italiano quale sia la sola forma di matrimonio che quest’ultimo deve consentire). No, non sono tali questioni e tante altre a catalizzare il mio senso di scandalo odierno più forte, o forse dovrei dire di fastidio, magari di tristezza – sempre che in questo frullatore di schifezze sia possibile istituire una graduatoria.

Nichi Vendola

Il leader di Sel ed ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola con il compagno Ed Testa, pubblicitario e designer italo-canadese. In queste ore la coppia festeggia la nascita di Tobia Antonio, figlio biologico di Ed Testa, venuto alla luce in California con la pratica della gestazione per altri, surrogacy. «Vendola sarebbe stato dunque il tipico beneficitario della stepchild, letteralmente “l’adozione del figliastro”». Fonte: espresso.repubblica.it

All’atteso stralcio dell’adozione dei figliastri, o stepchild adoption che dir si voglia, si è aggiunta una sorpresa: nel nuovo testo salta l’obbligo di fedeltà coniugale. Questo è il punto, qui si straccia il velo di una grande ipocrisia e si mostra il volto di un’idea che persiste in qualche modo, non si sa quanto diffusa ma presente e gettata in faccia come insulto legalizzato.

Si è detto stralcio atteso nel senso che, dopo l’annuncio di tentativi di accordo con Ncd e centristi vari, l’eliminazione dell’articolo sull’adozione era ciò che si immaginava verosimilmente; qui non si entra, quindi, nel merito della questione adozione in sé, cioè l’essere d’accordo o meno su questo punto e il proporre riflessioni che aprono altri grandi temi. Detto questo, dal mio punto di vista anche l’idea a priori che i bambini abbiano necessariamente bisogno di figure di sesso opposto per crescere bene è legata a stereotipi e pregiudizi, volendo usare in questo caso la parola nel senso di giudizio a priori senza l’accezione negativa che di solito l’accompagna. La differenza con la questione della fedeltà, però, risiede nel fatto che le idee intorno all’adozione sono in modo evidente inserite in un dibattito aperto, in un campo dove è ancora rivoluzionaria la concezione che né il sesso né l’orientamento sessuale hanno in sé a che fare con ciò che una persona può essere e quindi può dare. Questa cosa si lega alla questione di genere, nel senso più antico di ricerca sulla parità tra i sessi; cioè alla battaglia, possiamo dire, che alcune persone hanno condotto e conducono per dire che non è giusto incanalare a priori il possesso di alcune caratteristiche per il solo fatto di appartenere ad un sesso o all’altro, perché così si costruiscono di fatto stereotipi che poco hanno a vedere con la biologia e molto con la cultura. Niente di male in sé, se non fosse che lo stereotipo di genere, così in senso stretto, qualche danno crea nella società.

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«Reversibilità della pensione, divorzio, convivenza, doppio cognome»: su http://www.gay.it le norme del disegno di legge Cirinnà approvato il 25 febbraio al Senato, depurato dell’adozione del figliastro e grazie ai voti dei parlamentari di Alleanza liberalpopolare per le autonomie (sigla Ala). Su quel che resta del ddl sulle unioni civili deve ora pronunciarsi la Camera dei deputati

Trovo abbastanza lampante, dunque, che nella nostra società non sia diffusa l’idea che il possesso di molte caratteristiche personali non dipenda strettamente e necessariamente dal sesso, che il piano della differenza sia più sul livello interpersonale. Non mi aspetto, di conseguenza, che sia diffusa l’opinione che i bambini possano crescere con persone dello stesso sesso, perché a mio parere questo passa prima dalla condivisione dell’idea a monte. La conclusione è che il dibattito sull’adozione è evidentemente aperto e non costituisce per me motivo di particolare sorpresa il fatto che molti non siano disposti a pensare con serenità alla crescita in una coppia omosessuale.

Ha, invece, tutto il carattere di una sorpresa l’eliminazione dei riferimenti all’obbligo di fedeltà. La questione mi suscita scandalo perché porta alla luce un antico pregiudizio, cioè che i rapporti omosessuali siano un qualcosa di perverso, di trasgressivo, e non possano essere compresi nelle regole che governano la società. Francamente, pensavo che questo fosse un punto superato, non totalmente magari ma di più, almeno tanto di più da non finire rimarcato in una legge.

Ora, il punto non è che la fedeltà sia o meno cosa buona e giusta e definisca o meno la bontà di una relazione. Posto, però, che il concetto di unione di coppia si fonda nella nostra società anche sulla monogamia, quindi sulla fedeltà reciproca, è necessario muoversi in questo quadro per argomentare, a prescindere dalla condivisione del contenuto.

Togliere dal testo della legge il riferimento alla fedeltà, cercare di eliminare il più possibile l’equiparazione tra la coppia etero e quella omo è un’operazione sminuente deliberata. Si manifesta in tutta la sua violenza l’ipocrisia che esiste dietro un’accettazione dell’omosessualità che forse è molto più di facciata di quanto si pensasse. Se si ha bisogno di rimarcare delle differenze, se si ha bisogno di definire il proprio gruppo di appartenenza per contrapposizione ad un altro, significa che ciò che pare caratterizzare l’altro non è un qualcosa che si comprende e in qualche modo non si sceglie sulla base del fatto che non si confà al proprio sé, ma è qualcosa che fa paura. L’operazione sul testo della legge sembra dichiarare che l’omosessualità sia piena di ombre, sia un qualcosa di strano, un qualcosa che si tollera per buone maniere ma è proprio tolleranza e non serena accettazione (si capisce che accettazione è usato con il senso di comprendere, prendere con sé così com’è).

Certo, non è nuova la sensazione di trovarsi di fronte ad una finta accettazione che è piuttosto tolleranza, ma credevo non avesse troppo peso. Forse è anche così, forse è vero che non è troppo diffusa e il parlamento è semplicemente lontano dal sentire nella società, cosa in fondo possibile visti sul totale i numeri di minoranza (non di tantissimo, per la verità) a sostegno di concezioni del genere e visto che i partiti danno l’idea a volte di essere legati a logiche alle quali di fatto gli elettori non si sentono granché appartenenti. Non si può sapere, perché, pensandoci bene, non mancano parlamentari che dicono cose dal sapore primitivo (non si dimentichi un Carlo Giovanardi con le sue innumerevoli affermazioni), come nemmeno alcune voci dal popolo (sconvolge un pochino la signora cattolica praticante che alla radio dice una cosa come “gay uguale pedofili”, tralasciando il fatto che un cattolico praticante dovrebbe sapere bene che in materia non si può proprio generalizzare su base categoriale). Quanti Giovanardi ci sono in realtà? Quante signore gay-uguale-pedofili ci sono in realtà?

Il caso Spotlight

Un fotogramma da “Il caso Spotlight” di Tom McCarthy che ha appena vinto gli Oscar per il miglior film e per la migliore sceneggitura. «Il caso Spotlight porta sul grande schermo i primi sei mesi dell’inchiesta del Boston Globe che nel 2002 ha rivelato l’insabbiamento pluridecennale di una serie di abusi sessuali compiuti all’interno dell’arcidiocesi di Boston». Fonte: http://www.internazionale.it

Rimane che in una legge fatta con l’idea di regolamentare ed anche tutelare la vita di alcuni cittadini in minoranza, si scrivano cose che sminuiscono questi stessi cittadini e la loro vita; rimane che il salto oltre, il salto in alto, che i governanti si sono proposti di fare (se non altro per medicare lo smacco della condanna dalla Corte di Strasburgo!) era di facciata, era un raccontino nell’era del racconto, che si è ridotto al non nuovo gioco di equilibrismo politico senza uno sguardo di più ampio respiro almeno su ciò che di più ampio respiro è.

Forse, forse sì, noi siamo ancora là indietro, a non poter gridare che l’omosessualità è una malattia, che gli omosessuali sono in fondo dei perversi che si dedicano ad una vita dissoluta di piaceri e trasgressione, ma pensandolo.

P.S. Che poi, eterosessualmente parlando (sì!), perché il piacere debba essere una cosa così brutta non lo capirò mai.

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