«La bambina mi prende per mano e io trovo la mappa del cuore»

di Rosalba Griesi*

Madagascar apertura

Giuseppe Catalano tiene per mano una piccola ospite della missione di Ifatsy, vicino a Vohipeno, in Madagascar, dove il dentista lucano ha svolto attività di volontariato la scorsa estate.

Siamo diretti presso l’orfanatrofio di Ifatsy, un piccolo centro a 15 chilometri da Vohipeno, nel sud-est del Madagascar. Le suore ci accompagnano e confesso che con loro mi sento al sicuro. Ormai ho capito bene la loro forza, la loro ecletticità, la loro fede… Suore Ospedaliere della Misericordia, sono giunte in poche presso queste terre nel maggio del 1983 e da allora sono cresciute di numero e non si sono mai arrese alle difficoltà. Questi angeli dei bambini sono instancabili, garantiscono l’assistenza sanitaria e provvedono alla mensa scolastica, assicurano ai piccoli ospiti almeno un pasto completo, sono ovunque ci sia qualcosa da fare, in questo angolo di mondo, sperduto tra meridiane e parallele, scomparso dalle mappe, ma non da quelle del cuore, ed è col cuore che si costruisce l’indelebile.

Il suv si è impantanato in una delle tante pozzanghere sparse lungo una strada difficilmente percorribile, specialmente durante la stagione delle piogge. Suor Agnese ha lasciato la sua postazione di autista del suv che ci precede e senza esitare prende in mano la situazione. Con un paio di manovre azzeccate ed esperte libera dal fango il veicolo e riprendiamo la marcia, ma per poco, soltanto per due chilometri, visto il crollo del ponte sul fiume che bisogna attraversare. Non abbiamo altra scelta che quella di proseguire a piedi sino alla missione.

Madagascar ponte

Dopo il crollo del ponte è più difficile raggiungere la missione di Ifatsy:  qui le Suore Ospedaliere della Misericordia si prodigano per soccorrere bambini denutriti e per offrire loro pasti, cure e istruzione

Finalmente a destinazione! Il lavoro è tanto e non si ha nemmeno il tempo di riflettere, pensare, guardarsi intorno. Penso soltanto che qui la gente non ha nulla, nemmeno il necessario, penso ai bambini, i nostri, nei loro caldi maglioni, penso ai loro piedini che calzano scarpe all’ultima moda, alle loro colazioni, ai loro pasti abbondanti, alle loro montagne di giocattoli, alle attenzioni dei loro cari…

In men che non si dica giunge l’ora di pranzo e approfittiamo di questi momenti liberi per offrire bonbons, così chiamano le caramelle e le leccornie. Inoltre si distribuiscono magliette , quaderni, penne e quant’altro. I bambini accorrono a noi come api all’alveare. Provo un immenso stupore, un’emozione indescrivibile per tanta spontaneità, per tanto clamore e al tempo stesso gioia e soddisfazione, da non accorgermi di un tocco lieve che percorre la mia mano, come del soffio di un angelo. È piccola, è gelida, è rosa, è colorata e come calamita ha cercato la mia, grande e calda. La stringo forte quella manina che non chiede bonbons, e che mi cammina a fianco e che sfugge al mio sguardo indagatore, volgendo il suo in basso. Io cerco il volto di quella tenera creatura che non indossa il grembiule come gli altri bambini. Veste una maglietta rosa, sgualcita come un cencio, un paio di pantaloncini di colore grigio a quadretti neri. I suoi occhi per un istante si levano nei miei e subito dopo si riabbassano fino in terra, intanto che la sua mano si stringe forte nella mia. Quella stretta mi conferma la sua silenziosa presenza, quasi surreale, come di un miraggio.

Bea, è una delle volontarie proveniente da Alba e si occupa di quelle creature, come del resto, noi medici volontari, per visitarli e curarli, come le suore che accudiscono i bambini sul posto, portando da Vohipeno viveri, farmaci e quanto necessario, come le maestre che si prendono cura di quei bambini, di cui una parte alloggiati stabilmente presso la missione. Si giunge tutti con un intento preciso, quello di aiutare, soccorrere, in luoghi in cui, nonostante tutto, la natura è incontaminata e forte, aspra e stupenda, selvaggia e autentica, in un posto in cui la natura è ancora parte integrante dell’uomo e della sua esistenza.

Madagascar 1

Questo bambino è in cerca di qualcosa, forse legna, per aiutare i genitori che vivono con lui in una capanna

Bea mi dice che la bambina è lì da quasi un anno e che fa parte del gruppo dei denutriti. Nonostante tutto quell’angioletto mi appare, col suo corpicino, armonico nelle proporzioni. I suoi capelli lucenti e neri come ali di corvo, sono pettinati in piccole treccine che solcano il capo, così da esaltarne l’innocente bellezza dei suoi sei o al massimo sette anni di vita. Mi piego sulle ginocchia così da farmi alla sua altezza, così da farmi più vicino a lei, alla sua fragilità, così da capire il motivo di quel gesto istintivo, quello di afferrare la mia mano inconsapevolmente. Ma ancora una volta il suo sguardo sfugge, forse perché non ha domande, forse per timidezza, forse per amore... E allora non mi rimane altro che stringerla, altro che attirarla a me e abbracciarla. E lei ricambia in maniera affettuosa e rassicurante con un semplice gesto, una lieve pacca sulla mia spalla con la sua piccola mano. L’abbraccio dura pochi secondi che a me paiono infiniti, tale è l’intensità, tali sono il silenzio e lo stupore di tutti coloro che conoscono la bambina come di quelle che ha problemi di integrazione con i suoi pari e di diffidenza con gli estranei. Tuttavia continuo a chiedermi il motivo di questo interesse nei miei confronti. Come potrei aiutarla, cosa potrei farle o darle, mi chiedo. Forse, penso, sarà il colore verde della nostra divisa, ad attrarre l’attenzione, verde come la speranza, come la certezza, come l’affetto sicuro. Intanto riprendiamo, mano nella mano, la nostra tacita passeggiata, come di un padre che nel camminare, promette a se stesso di proteggere il proprio figlio, di non lasciarlo mai.

Madagascar 3

Ancora un’immagine di Giuseppe Catalano con una bambina di Ifatsy, dove il medico ha preso la decisione di andare alla vigilia dei propri sessantanni. Da tempo meditava di partire e l’estate scorsa è arrivato  l’invito, accettato, del parroco del Miulli, l’Ospedale generale regionale di Acquaviva delle Fonti, gemellato con quello di Henintsoa, in Madagascar. Con il dentista di Palazzo San Gervasio c’erano altre sette persone tra medici, infermieri, elettricisti e operai

Il tempo, è risaputo, tiranneggia e ancor più nei momenti in cui si crede di poterlo fermare! Occorre ripartire prima che faccia buio, per le ore 18 occorrerà rientrare alla nostra missione. Il cielo minaccia pioggia e i sentieri potrebbero sprofondare sotto le precipitazioni e sarebbe quindi un problema raggiungere i veicoli,   presso il ponte crollato, dove li abbiamo fermati.

Ritorniamo dai bambini per offrire loro le ultime cure, le ultime attenzioni. Ce ne sono tanti da guardare, da aiutare, da curare, ma diamo oggi la precedenza a quelli giunti dai villaggi sparsi intorno, dopo aver percorso a piedi diversi chilometri di sentieri. La loro salute è precaria visto che vivono in capanne sperdute. Non hanno molto da mangiare e versano in pessime condizioni igieniche. I bambini che vivono a Ifatsy sono perlomeno assistiti e si cerca di far vivere loro un’infanzia normale, per un anno o due, prima che siano restituiti alle famiglie.

Ci ritroviamo sulla strada del ritorno. Portiamo con noi cinque o sei bambini bisognosi di particolari cure che saranno profuse presso l’ospedale, un ospedale fatto da persone semplici, umili, preparate e animate da spirito vitale infinito. Con me invece porto nel cuore e nella mente un piccolo angelo che con la sua manina mi ha scaldato l’anima.

Piove a dirotto da molte ore. Il fragore della pioggia battente mi ha svegliato. È l’una di notte, mi sono alzato e ho guardato fuori dalla finestra e lì sono rimasto sino alle prime luci dell’alba. I miei pensieri sono corsi a quella bambina di cui non conosco nemmeno il nome, di cui, tuttavia è vivo il ricordo del suo volto, tenero e candido. Mi piacerebbe scaldare ancora quella mano fredda che risento forte nella mia, mi piacerebbe dirle intanto che ce la farà, che diventerà grande e forte, che sarà figlia della vita, che la terrò sempre nei miei pensieri. Grazie piccolo Angelo per avermi scaldato il cuore, per avermi donato il tuo tocco.

*È Rosalba che scrive, ma a vivere questa toccante esperienza di volontariato è stato, nella realtà,  Giuseppe Catalano, dentista, e come Rosalba Griesi di Palazzo San Gervasio, in Basilicata. Rosalba ha dunque offerto la propria “voce” all’amico Peppino che ora sentiamo già amico anche di questo nostro spazio, attento ai più piccoli.

5 thoughts on “«La bambina mi prende per mano e io trovo la mappa del cuore»

  1. Brava, Rosalba, hai dato voce all’esperienza del Dott. Catalano in Madagascar. Tutte le foto che lui stesso aveva condiviso su Fb di ritorno dal viaggio, mi hanno comunicato questa “voce”. E queste tue parole sono sincere….

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  2. Rosalba, il tuo racconto esalta ,descrivendola nei particolari, un’esperienza di vita che ammorbidisce il cuore di chi la legge quasi fosse li’ a stringere direttamente quella manina bisognosa. Grazie per avermi regalato le emozioni e la sensibilita ‘del Dott. Catalano. E’ confortevole conoscere la voce degli angeli, sapere che esistono e agiscono con decisione e grande tenerezza sui luoghi della necessità! La tua penna ancora una volta ha lambito con il suo tocco delicato il mio animo. Ti saluto con grande simpatia
    Maria Teresa

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    • Grazie Maria Teresa. Le tue parole mi rinfrancano. Ci sarebbe tanto da fare in quei luoghi per quelle creature che chiedono soltanto di diventare grandi in maniera dignitosa. Se possiamo dar loro una mano, in ogni modo, che ben venga.

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