Il mio ghetto era un quadro che non riconosco più (o quasi)

di Mariagrazia Sinibaldi

Gaspar van Wittel, “Il Tevere a Castel Sant’Angelo, visto da sud” (1700 – 1715). L’opera è esposta fino al 25 giugno 2017 al Museo Civico Ala Ponzone di Cremona nell’ambito della mostra “Lo sguardo sul mondo. Vedute, capricci, paesaggi” ( http://www.artgate-cariplo.it/)

Ecco… così ho fatto, stavolta, proprio così: ho dato le spalle all’antico portone di casa e, come sempre, prima di attraversare ho guardato a sinistra e poi a destra. Sì, a sinistra il Campidoglio è ancora lì: a destra il traffico delle città di oggi, non quello pacato e quasi silenzioso della mia giovinezza, rumoreggia.

Ho attraversato “via dell’Ara Coeli” e mi sono guardata intorno: a sinistra la vecchia latteria non c’è più e, come in un flash, ho rivisto il bancone di marmo e le bottiglie di vetro bianche per il latte contenuto con il coperchietto di alluminio: per aprirle bisognava bucarlo nel centro, il coperchietto, con il pollice e poi tirare su. Il pezzetto di alluminio veniva buttato nella spazzatura, e non come oggi nella raccolta differenziata… Le bottiglie venivano restituite al prossimo acquisto di latte.

No… non c’è più e al suo posto un anonimo negozietto, così tanto anonimo che oggi, a distanza di una sola settimana, non ricordo cosa venda.

E a destra? Il laboratorio di restauro di cornici è scomparso. Il vecchio signore segaligno nel camice da lavoro grigio non si aggira più tra i riccioli dorati di cornici barocche.

Solo la viuzza, via di Tor Margana, sempre un po’ buia, mi sembra la stessa… forse un po’ più stretta… forse un po’ più corta…

I sampietrini, sono ancora lì… certamente molto ma molto più sconnessi di un tempo, ma ci sono. Sì, i sampietrini: blocchetti di dura selce sistemati a disegno che tappezzavano le vie di Roma. Gli operai dalle mani callose e sformate, seduti in terra, con pesanti mazze, scalpellavano i blocchetti ormai consumati e restituivano loro la primitiva caratteristica forma a punta, sulla quale la pioggia sarebbe scivolata per finire dentro il minuscolo spazio tra un blocchetto e l’altro… un mezzo ingegnoso per non creare buche e pozzanghere.

E poi Piazza Margana! Oh Dio, quanto è piccola… quanto più piccola di come la ricordavo! L’osteria, all’angolo di via dei Delfini, si è trasformata in un ristorante alla moda con  tovagliette falsamente rustiche.

Io la ricordo bene, la vecchia osteria: era un locale bonario dove, bonariamente, si potevano ordinare una scodella di boiacca* e una fojetta** di vino, di quello buono, fresco, dei Castelli. Di fronte, all’angolo con via dei Polacchi, la pizzicheria c’è… c’è ancora… Che emozione!… Ed è tale e quale… proprio come allora. O tale mi sembra. Sopra la porta, sul muro sconnesso dal tipico romano color ocra, in un palazzo non restaurato, la scritta dice semplicemente ‘Pizzicheria’. Non ci sono luci al neon, o profili in alluminio o acciaio, non ci sono sportelli in perspex, non c’è una vetrina sfavillante… nessuna scritta fantasiosa tipo ‘Il paradiso del salume’, ma onestamente, sobriamente, Pizzicheria. E dice tutto.

Ma il mio entusiasmo, il mio umore alle stelle per un angolino della mia gioventù ritrovato, crolla miseramente: accanto alla pizzicheria superstite, l’altro lattaio di rione e il vinaio che vendeva vino sfuso ma anche olio di semi (che semi? Mi chiedevo io bambina, pensando ai semi delle mele)… Ecco, loro sono scomparsi e al loro posto due malinconiche vetrine di “gallerie d’arte”. Lì sì. Con neon ed altri orpelli… che cosa c’entrano in questo rione così meravigliosamente vecchio?! … e le vecchie scritte?

Se ne vedono le tracce sopra le porte, perché questo palazzo non ha ricevuto restauri di sorta.

… E poi… E poi… e poi piazza Campitelli…*** anzi, per essere esatti piazza Santa Maria in portico in Campitelli. Non la attraverso, oggi, come non la attraversavo allora, per andare a scuola, e via de Delfini diventa via dei funari,**** e nei muri dei palazzi di destra e di sinistra si aprivano, e si aprono ancora, piccoli portoni: oggi sono nuovi, lucidi di vernice nuova; quando io, ragazzetta, passavo per questa strada, correndo per non fare tardi a scuola, erano portoncini un po’ sgangherati. Oggi portano ad appartamentini ricavati da anfratti e passaggi e sgabuzzini e rientranze. Un tempo erano  magazzini di stracci e delle vecchie cose che ogni famiglia, di tanto in tanto, quando spicciava la soffitta, buttava via.

Chi portava avanti questa attività di raccolta e rivendita erano gli ebrei del vecchio ghetto, gli unici veri romani de Roma, che fin da tempi antichi non si sono mai mossi da qui. Oggi si sono trasferiti in via dei Coronari facendo di questa strada, una volta un po’ ambigua,  una prestigiosa via di antiquari conosciuti in tutto il mondo.

Arrivo a Sant’Angelo in Pescheria: il Tevere è vicino e in questa zona c’era, al tempo degli  antichi romani, il mercato del pesce, con i suoi banconi di pietra, che oggi spuntano dalla terra, circondati da foglie di acanto e detriti, sotto il livello del manto stradale, portati alla luce in seguito a scavi. Non c’è più il ponticello di ferro che passando sotto uno degli archi di portico d’Ottavia portava alla chiesa… Portico d’Ottavia, meraviglioso imponente rudere romano… oggi stretto in una gabbia di tubi Innocenti, che ne nascondono la visione. Attaccato al rudere un angoletto di mura medievali, dipinto da Roesler Franz in uno dei suoi famosi acquerelli, sta ancora lì, ma accanto è stato aperto un moderno ristorante che con i suoi tavolinetti e gli ombrelloni ha invaso, vigliaccamente, la piazzetta della mia gioventù.

Al di là del Portico c’è piazza delle cinque Scole. L’attraverso, come l’attraversavo ai miei tempi, e raggiungo Lungotevere Cenci… e la mia scuola. Ero arrivata. Ma nemmeno la mia scuola, una palazzina liberty, c’è più… al suo posto uno stupido palazzo ultramoderno.

… Ma cos’è questa mia passeggiata nel vecchio ghetto che tutte le mattine attraversavo per andare a scuola? Un amarcord felliniano? Una recherche du temps perdu proustiano? Non voglio indagare, non me ne importa niente. Ho notato soltanto che i restauri hanno dato agli antichi palazzi un freddo color bianchiccio togliendo alla vecchia Roma quel magico caldissimo color ocra che faceva di Roma una città dorata.

*boiacca: minestrone

**fojetta: bottiglia di vetro da un quarto

***campitelli: dalla parola latina Capitolium, oggi Campidoglio, che si trova poco distante

**** funari: artigiani che fabbricavano le funi…

ULTIMO AGGIORNAMENTO 6 APRILE 2017

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