L’innocenza perduta dei piccoli cuochi televisivi e la modestia che fa crescere della Dott.ssa Peluche

di Chiara Pergamo

junior-masterchef_diretta_29-aprile-2015

I giovanissimi aspiranti cuochi già catapultati nel firmamento dei talent televisivi stellati

Qualche settimana fa mi è capitato di imbattermi in un incontro-scontro tra due realtà diverse e complementari: mi spiego.

Il mercoledì sera su Sky Uno (canale 108 di Sky) andava in onda la seconda stagione di Junior MasterChef Italia, il talent per giovani aspiranti chef che vorrebbe emulare la versione per adulti e sembrarne una trasposizione in miniatura con la tenacia con cui un pincher vuole sembrare un bonsai di un dobermann.

Al di là di quello che è il mio personale parere in merito alla trasmissione – che espliciterò tra qualche riga – io seguo Junior Masterchef, che trovo complessivamente un programma godibile e ben orchestrato, forse essendo fan anche del MasterChef per i grandi.

Ora, un mercoledì sera, nell’attesa che iniziasse la puntata, ho girovagato qua e là per gli altri canali e mi sono imbattuta in uno dei cartoni animati di Disney Junior (canale 611 di Sky), rete destinata ad un target di bambini piccoli, siamo attorno agli anni della scuola materna: il cartone su cui mi sono soffermata – leggasi “ne ho guardati due episodi” – è Dott.ssa Peluche, che racconta le vicende di una bambina di nome Dottie che da grande vorrebbe fare il medico. La particolarità di Dottie è che, attraverso la sua fantasia, ci racconta che la casetta giocattolo che sta nel suo giardino è in realtà la sua clinica e che lei è specializzata nel curare i giocattoli rotti, coordinata dal suo fedele staff di pupazzi: è chiaro, qualsiasi adulto che si ritrovi a seguire le avventure di Dottoressa Peluche capisce che si tratta della sua immaginazione e che i giocattoli non le parlano davvero, ma allora cosa rende interessante questo cartone? In un modo semplice e adatto a bambini comunque piccoli, Dottie spiega come non ci si debba preoccupare quando bisogna fare una visita dal medico o che non si deve aver paura se giocando ci si è fatti male, perché il dottore saprà curarci: Dottie e il suo staff non trattano i bimbi telespettatori come se fossero cretini – infatti la dottoressa Peluche usa anche parole da grandi come “diagnosi”, salvo poi registrare i dati dei suoi pazienti nel Grande libro della bua – perché vuole passare dei messaggi positivi e avere, perché no, un ruolo di supporto per i genitori quando devono gestire una situazione delicata, tipo il bambino che si è rotto un braccio cadendo dalla bici.

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Dottie, ovvero la Dott.ssa Peluche

Dottie è un esempio interessante anche perché è una femmina e viene da una famiglia di afroamericani, quindi il suo voler diventare medico strizza l’occhio anche ad una forma di emancipazione delle minoranze che, sebbene sia vero che anche in Grey’s Anatomy trovi le donne non caucasiche che fanno il medico, lì si tratta di personaggini da telenovela più che di figure esemplari per il pubblico, soprattutto uno delicato come quello dei bambini.

Poi va beh, finito Dott.ssa Peluche e assicuratami che la bambola ballerina potesse tornare a danzare, è iniziato Junior Masterchef: è un po’ come riemergere dall’apnea se li si guarda uno in fila all’altro. I cuochini ai fornelli di Masterchef presentano una sostanziale differenza rispetto alla clinica di Dottie: non fanno finta. I giovani chef amatoriali cucinano per davvero, padroneggiano con discreta competenza la terminologia tecnica e non si fanno spaventare davanti ad una trota da sfilettare: magari poi la massacrano un po’, ma il gesto di prenderla, eviscerarla, pulirla e passarla sotto la lama del coltello c’è tutto. Il loro essere bambini e aspiranti cuochi in una cucina professionale li rende spesso più indigesti di qualsiasi piatto mal riuscito: hanno momenti schizofrenici in cui alternano tipici slanci di fanciullezza ad istanti in cui se la tirano come chef navigati con più stelle di un planetario, risultando spocchiosi e antipatici, nonché costruiti e artefatti.

Dunque cosa mi piace di questo programma? Solo i gradevoli spunti che mi suggeriscono per la preparazione dei gamberi? In realtà no: è vero, i cuocherelli sono un po’ supponenti, ma hanno sprazzi in cui sono solo ragazzini che hanno voglia di divertirsi e giocare, ma nel frattempo coltivare un sogno che possa anche diventare un lavoro, che in tempi di crisi non è mica un’opzione da buttare.

Così, ad un primo sguardo, Dottie sembra più eticamente corretta, così bambina per davvero e medico per finta che sembra riportare tutto ad una dimensione più maneggevole, dove i piccoli sono i piccoli e dove il loro operato non viene giudicato da professionisti: ciò che mi chiedo è: «Ma se Dottie potesse?». Voglio dire: i ragazzini di Junior Masterchef cucinano sul serio e devono solo stare attenti a non affettarsi qualche dito, ma di bambini che operino a cuore aperto non si è ancora sentito, se non altro perché ci vuole una laurea. Dottie gioca a fare il medico perché nella realtà non potrebbe mai, ma se potesse sarebbe così modesta da dire arrossendo: «Ma no, lasciamo fare ai grandi il lavoro dei grandi, perché io sono solo una bambina» o sgranerebbe gli occhioni sfregandosi le mani di fronte ad un’occasione grande come la sua clinica giocattolo?

Chiara Pergamo

Un bel ritratto (che risale a qualche tempo prima del matrimonio: Felicità!) di Chiara Pergamo. Dal suo profilo Facebook

Se in un mondo irreale – tipo il suo, per dire – l’ospedale locale pubblicasse l’annuncio “Cercasi bambini per uno stage formativo”, che potrebbe voler dire anche solo passare le bende all’ortopedico in sala gessi o dire “Dia un colpo di tosse” a un paziente col fonendoscopio sulla schiena mentre il medico lo ausculta, mica niente di trascendentale, secondo me Dottie lo farebbe: anzi, di più, parteciperebbe a delle selezioni per essere scelta tra migliaia di bambini che vogliono stare gomito a gomito coi dottori veri, negli ospedali veri e coi malati veri (ecco, magari solo quelli con le ginocchia sbucciate o poco più).

Prendendola alla larga, quando un programma sportivo racconta la biografia di qualche asso del calcio, parte sempre con alcuni scatti di repertorio che ritraggono il campione quando era solo un fanciullino che calciava a piedi nudi un pallone e gridava sguaiato sui campetti sterrati di periferia: mai che si vedano Ronaldo o Messi da bambini che sgambettavano in uno stadio di lusso da migliaia di posti. È quindi “naturale” far giocare agli chef i giovani concorrenti di Junior Masterchef in una cucina stratosferica che fa sembrare la mia una tana di coniglio? Forse è giusto coltivare sogni grossi o forse è la deriva stellata della meritocrazia, perché solo se sei tra i 20 migliori aspiranti cuochi bambini puoi accedere al paradiso: diversamente, ti toccherà un purgatorio fatto di anni di piatti da lavare, patate da pelare e brodi sciapi da aggiustare, sperando che almeno la dura gavetta ti lanci, se non nel firmamento degli chef, almeno nelle cucine della pensione Gaetana di Pinarella di Cervia, che di stelle ne avrà poche, ma le mani al cuoco le battono tutti.

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