La poesia, i colori dei sentimenti e il “sovvertimento d’amore”

di Giuseppe Porzi*

Cara Paola

in ritardo, lo so: come un tipico treno italiano 
Ho letto paolam e non so che dire. Non in senso krausiano (1), ma semplicemente perché – come dire? – l’intervento basta a se stesso. Aggiungo, per te, solo una modesta nota. “Nero” non è una connotazione e nemmeno una condizione. Non è neanche un colore, ma la somma di tutti  i colori. In un certo senso è il loro sovvertimento. Nero qui è bellezza; anzi, il sovvertimento della bellezza “candida come un’aurora”. È anche l’amore, sovvertimento di sentimenti e di ruoli, che fa essere Marino felice “servo di chi mi è serva”, dimentico delle stratificazioni sociali.
E chiudo. Ogni sentimento va coltivato, anche l’amore. Soprattutto quando fa soffrire.  Forse è questo che manca: una pedagogia dei sentimenti. Si risparmierebbero tante tragedie.

Ti abbraccio.

* La pubblicazione sul nostro blog del “Cantico dei cantici” continua a produrre i suoi benefici effetti. L’amico scrittore Giuseppe Porzi, dopo averlo riletto qui, mi aveva mandato la poesia di Giovan Battista Marino “La bella schiava” e l’amica archeologa Paola Mazzei ha lasciato i suoi interessanti commenti (andate a vederli!).

Ho chiesto a Giuseppe di rispondere a Paola e lui lo ha fatto con la mail che pubblico oggi e dalla quale è scaturita una nostra intensa chiacchierata, purtroppo non sufficientemente lunga. Ma ci rifaremo. Nella risposta cita Karl Kraus e, chiacchiera che ti chiacchiera su male, bene, amore e (anche) le sofferenze che l’amore dà, è arrivata poi con la posta elettronica la citazione cui Giuseppe fa riferimento. Eccola qua:

1)  Da: Karl Kraus, “La terza notte di Valpurga”: «Su Hitler non mi viene in mente niente. Sono consapevole di essere rimasto con questo risultato, frutto di tanto pensare e di tanti tentativi di comprendere gli eventi e la loro forza motrice, molto al di sotto delle aspettative. Perché queste erano forse eccessive nei confronti dello scrittore polemico al quale per un equivoco grossolano si richiede quella prestazione solitamente chiamata “presa di posizione” e che, ogni qualvolta un male ha urtato anche solo relativamente la sua sensibilità, ha fatto quel che si definisce “tenere testa”. Ma ci sono mali di fronte ai quali questa cessa di essere una metafora e il cervello, che è dentro la testa e che ha la sua parte in tali azioni, si considera incapace di qualsiasi pensiero». 

(p.c.)

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