Per la fiera della beneficenza se ne riparla l’anno prossimo, ma nonna e nipote ancora sono in fuga dal baratto “in”

di Adele Colacino

raccolta_fondi

Sono trascorsi appena una ventina di giorni e le coscienze si sono allontanate dai solleciti alla generosità e alla partecipazione attiva e contributiva ai dolori della fame e delle privazioni di una gran parte del mondo

Giusto! Adesso è il momento di pensare a come smaltire il peso accumulato nel periodo delle Feste, sì quelle con la EFFE maiuscola. Adesso, calendari e calorie sott’occhio, occorre impegnarsi a ritornare in forma, a sudare nelle tute griffate, a pensare alla prova costume che quando meno te lo aspetti ti manderà in crisi davanti allo specchio che riflette carni bianchicce, molli, e debordanti, occhi sbarrati.

Faccio un passo indietro e torno all’inizio di novembre, quando già cominciano ad arrivare con la posta le buste piene di letterine che, associazioni e missionari sparsi per il mondo, ci scrivono sotto lo sponsor di santi e sigle per la campagna di raccolta fondi.

Che ci sia crisi o boom economico, i cuori e le coscienze hanno bisogno di resettarsi un paio di volte all’anno e tornare a sentirsi  leggeri, puliti, quasi intonsi.

Ogni strumento che possa fare marketing e colpire occhi, sentimenti e portafogli diventa lecito.

In ogni busta, tutto ben organizzato, trovi una lettera indirizzata proprio a te, con il tuo nome di battesimo come se chi ti scrive volesse parlarti all’orecchio in privato, un bollettino prestampato sul quale scrivere solo una cifra da scegliere fra diverse opzioni, a seconda del ruolo che intendi o puoi permetterti di ricoprire.

E poi foto di portatori di ogni handicap, striscioline centimetrate per darti un’idea precisa della denutrizione, mocci, mosche, un testimonial che ci mette la faccia e si mostra e ti mostra con quanta  sensibile disponibilità paga l’esser famoso.

Quando i presepi e gli abeti e le palle tornano negli scatoloni, quando il Bambino torna cieco per la carta da pacchi o il foglio di plastica con le bollicine piene di aria, spariscono gli artisti che dipingono col piede o con la bocca, insieme ai calendari, ormai pochi e brutti, mentre le agende sono introvabili da anni.

Una telefonata mi invita a partecipare a un “baratto”.

Tu porti una cosa e puoi prenderne un’altra.

Baratto natalizio

A dicembre, quindi (ma a dicembre), si può essere buoni anche solo scambiando una cosa che non ti serve più con un’altra che potrebbe servirti e tutto quel che rimane va donato in beneficenza.

Però!

Ci guardiamo intorno in casa, la mia nipotina Marzia e io. Mi sembra una cosa interessante da legare anche a un discorso di buona economia, di risparmio e di rispetto per gli oggetti usati.

Marzia propone entusiasta ogni cosa le cada sotto gli occhi,  che sia di un qualche valore economico oppure legato alla mia vita con un motivo personale che lo renda prezioso al mio cuore.

Alla fine, mettiamo in un  sacchetto di carta troppo grande tanti libri per bambini che i miei nipoti hanno letto e accantonato da tempo, due civette di piume candide con gli occhi gialli regalatemi come portafortuna in uno di quei Natali dove si scartano cianfrusaglie con una colonna sonora di ohhhh  uhhhh falsi come il Giuda che quel Bambino avrebbe tradito  a distanza di alcuni anni.

Adele

Adele Colacino, dal suo profilo Facebook

Arriviamo all’appuntamento che già tanta roba è stata sistemata dalla Mrs straniera che ha organizzato l’evento.

Sistemiamo i nostri libri su un ripiano e accanto posiamo le civette vestite di piume e con gli occhi gialli.

C’è un solo libro, un romanzo straniero, forse nessuno mai lo ha sfogliato, le pagine un po’ ingiallite odorano di bocciolo di rosa tea mai sbocciata.

Sulle grucce tanti indumenti usati. A terra scarpe con l’aria stanca, modelli che sono orribili anche quando, nuovi di moda, si esibiscono sotto le luci dei faretti nelle vetrine del centro.

Ci sono dei periodi in cui “gli stilisti” decidono che per sentirti “ à la page” devi buttare via tutto quel che possiedi nelle scarpiere e negli armadi.  S’inventano e propongono innovazioni totali: come dimenticare le scarpe estive e invernali dotate di punte lunghe e desolatamente vuote di piedi che a volte si deformavano rendendo difficile e pericoloso l’incedere degli incauti a ogni costo fashion?

E poi cappelli di lana fatti in casa e sformati, magliette “sdillabrate”, qualche jeans, qualche vaso di finto legno.

Su un tavolino alcuni oggetti degni di essere guardati: un vecchio narghilè, due teche piene di denti di dinosauro con una bella etichetta in francese che li impreziosiva in neretto, datandoli a più di 75 mila anni fa. Una scatola con una mini collezione di minerali tutti con la propria strisciolina di carta che li nominava in una bella calligrafia di altri tempi.  Due indigeni neri neri seduti in una piccola canoa intagliata nel legno nero nero aspettavano che qualcuno li prendesse con sé,  forse temendo che i denti dei dinosauri potessero saltar fuori dalla teca e sbranarli.  Hanno perso i remi e restano pensosi in un’asciutta deriva.

Pygmée

Adele aveva mandato, insieme con il testo, anche la foto della canoa, con tanto di vogatori africani intagliati, di cui parla nel post. Ma l’immagine non è pubblicabile, così abbiamo ripiegato su quella che vedete qui, molto evocativa, sempre scelta da lei

Dopo le presentazioni e i convenevoli, la signora organizzatrice con accento straniero ci informa che c’è un buffet nella sala attigua. Comincio a spiegarmi un po’ il costo del biglietto di ingresso al baratto!

Poi con molta disinvoltura, strascicando le sillabe americans trasformate in italiano, informa che  al suo VIA tutti potranno correre e prendere l’oggetto che hanno trovato interessante per il baratto.

OHHH!

Ci guardiamo in faccia Marzia e io, prima incredule, poi l’ironia della situazione ci fa scoppiare a ridere. «Nonna», mi dice piano, «ma sono quasi tutti molto anziani, la sola giovane presente ha pensato bene di infilarsi subito l’unico paio di stivaletti seminuovi e di nascondere le sue scarpe nella borsa».

Conveniamo di avere due opzioni per trasformare una situazione di disagio in una delle nostre birichinate che ci rende complici: andar via subito o correre a prendere tutti i nostri libri e tutto quanto c’è sul tavolinetto  al centro della sala, compresi i due indigeni tristi tristi e neri neri nella loro asciutta canoa nera nera.

Mangiamo qualche cornetto caldo e al via americano ci riprendiamo i nostri libri, tanto non li avrebbe voluti nessuno,  la canoa nera nera, i denti di dinosauro, i minerali, il romanzo triste e mai sbocciato, poi usciamo nel buio della sera ch’è già sceso fuori dal locale “in” nel quartiere “in”, dove persone ”in”  si sono liberate dei loro stracci che non sembravano per niente” in”.

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