«Due anni fa mi hanno diagnosticato la Sla, oggi dico che la cura riguarda tutti»

di Lina Forconi*

da Il Resto del Carlino, edizione di Macerata

Lina

Lina Forconi a Urbisaglia, il paese marchigiano in cui risiede. Laureata in Psicologia a Roma, ha esercitato la propria professione nelle scuole, in costante contatto con adolescenti in difficoltà

Sembrava una banale storta della caviglia destra, ma che qualcosa non quadrasse l’ho capito quando, improvvisamente, ho sentito la gamba destra rigida e quel giorno, nel marzo del 2012, sono riuscita ad arrivare a scuola solo con grandissima fatica. E pensare che fino a quel momento parcheggiavo distante per poter fare qualche passo a piedi! In ogni caso, almeno all’inizio, diedi tutta la colpa a quella storta. Successivamente ho cominciato ad inciampare, e qualche volta sono caduta, ma pensavo, o meglio i familiari e gli amici pensavano, alla caviglia. Poi nel mese di novembre è arrivata la diagnosi: Sla.

Il medico usò un eufemismo, malattia del motoneurone, perché disse che prima di una diagnosi così grave preferiva sentirsi con un centro specializzato. Potete immaginare quello che si prova.

Leggete qualcosa sulla malattia e potete capire come ci si possa sentire di fronte ad una diagnosi: a volte le parole non danno il senso vero finché non le si sperimenta sulla propria pelle. Malattia degenerativa significa che appena pensi di aver raggiunto un equilibrio, tutto cambia di nuovo e devi ricominciare. Ad esempio, prima usi una molla, poi la canadese, poi il deambulatore, poi la carrozzina… Ogni volta ricominci. Vestirsi, lavarsi, andare in bagno, dormire, diventano sempre più azioni problematiche.

Lina Equi-Voci

Lina due anni fa nel periodo in cui le è stata diagnosticata la malattia

All’inizio, quando ti dicono che la tua è una forma lenta, pensi che, nonostante tutto, riesci a camminare seppur con l’aiuto di qualche ausilio; esci con le tue amiche più care, c’è sempre qualcuno che ti aiuta, vai al cinema, ai concerti. Poi, però, ti rendi conto che improvvisamente non riesci più a camminare, improvvisamente non riesci più a dormire per i dolori alle gambe, poi non hai forza alle braccia e alle mani, hai il tono della voce basso e per di più, dopo una lunga esperienza da corista, diventi pure stonata.

Ti devi adattare ogni volta, cambiare di continuo ausili per affrontare le difficoltà quotidiane coinvolgendo la tua famiglia. Eh sì, perché la Sla non riguarda solo te, ma anche chi ti è vicino: familiari e amici innanzitutto. Cambia la vita in famiglia e cambiano i rapporti con gli amici. Se i legami sono saldi affronti meglio la malattia. Anche i rapporti con il mondo cambiano: devi sforzarti di non rinunciare a niente. Malgrado gli sguardi pietosi o quelli di chi finge di non vederti, devi avere la forza di uscire, di fare quello che ti è sempre piaciuto fare. Non è facile, sia per le tue remore, sia per quello che devi affrontare: parcheggi per disabili inesistenti o addirittura occupati da chi non ne ha diritto, bagni inaccessibili, locali impraticabili…

Mai, però, perdere la speranza: nella ricerca, nella cura, nella solidarietà.

La Sla è inguaribile, ma curabile. La guarigione riguarda la scienza, la cura riguarda tutti.

Lina e sorella

Lina con la sorella Ivana, le cugine Sara, Marina, Nella e tutte le persone più care che sono costantemente al suo fianco

 

* Questa testimonianza di Lina Forconi, psicologa maceratese, è stata pubblicata ieri dall’edizione locale del quotidiano Il Resto del Carlino in concomitanza con le iniziative promosse dall’Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica (Aisla) per raccogliere fondi per la ricerca. Anche nel paese dove Lina e la sua famiglia vivono, Urbisaglia, amici, parenti, conoscenti (e persone semplicemente consapevoli che gli studi e le sperimentazioni sulla Sla possono andare avanti soltanto con adeguati finanziamenti) hanno dato il proprio contributo. 

 

Io ho avuto il dono del suo calore nella mia infanzia e ho sempre saputo del suo coraggio, gliel’ho ricordato pochi giorni fa in una lettera. Ma scorrere queste parole, così dolorosamente semplici, questo suo rendere pubblica la propria “esperienza” a vantaggio dei tanti che ha incontrato nei vari ospedali italiani, mi ha dato la prova che quella forza mite che ha in sé non se n’è andata neanche adesso e nonostante tutto.

Un bacio, P

 

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