Sull’autobus, con la donna scappata dal marito cocainomane che la massacra di botte

di Paola Ciccioli

violenza-donne-bambini

Tutte le immagini di questa cronaca sotto tratte dal web

È successo oggi, 14 agosto, a Milano. Intorno all’ora di pranzo.

Stavo andando a piedi verso la fermata dell’autobus, camminando senza fretta grazie a un sole benevolo e a un po’ di vento. Nei Giardini della Guastalla, sul prato verdissimo, un ragazzo a torso nudo si abbronzava e giocava con il cane. Un signore mi aveva superato sul marciapiede e avevo notato che in mano teneva delle rose avvolte in una carta bianca.

Poco prima, l’edicolante di fianco all’ospedale, si era prodotto in un articolato ragionamento deduttivo per dirmi che, sì, l’acqua della fontanella lì accanto è potabile. Un sorso, per mandar via l’amaro della sigaretta, mentre un piccione immergeva il becco nella vasca.

Ho sentito dire tante volte che Milano è bella d’agosto. Sarà, non sono mai stata di questo avviso.

Ma quest’anno è diverso e oggi lo è ancora di più.

Sto per arrivare alla fermata con tutte queste immagini negli occhi, mi volto per vedere se l’autobus è in arrivo e, sì, eccolo! Una giovane donna, sarebbe meglio dire una ragazza, si alza dalla panchina della pensilina e si prepara a salire. Ma l’autobus non si ferma, fa una piccola curva per superare uno dei tanti cantieri aperti in città e ci lascia lì, tutte e due, a chiederci come mai.

«E perché non si è fermato?», domando.

«Non lo so. Non sono di qui». Intuisco, dal «non sono di qui», che ha voglia di parlare. Controllo il display della pensilina e c’è l’indicazione che la fermata è soppressa. Dunque ci incamminiamo insieme verso la successiva.

«Dove si comprano i biglietti?», mi chiede. «Tabaccaio, edicola, più avanti qualcosa di aperto trova».

Ancora qualche passo l’una di fianco all’altra e lei aggiunge: «Ho dei problemi, credo che starò qui per un po’».

Visto che ci siamo incontrare vicino a un ospedale penso a qualcosa che abbia a che fare con la salute. Non so se chiedere o starmene zitta, ma il desiderio che ha lei di parlare comincia a essere sempre più evidente.

«La salute?».

Fa cenno di no con la testa. Non so bene perché, ma penso che possa essere la moglie di qualche detenuto di San Vittore, di Opera o di Bollate. La sua faccia giovane ma segnata mi ricorda quella di altre donne che ho visto arrivare dal Sud soltanto per aspettare il momento del colloquio con il marito carcerato.

Sto zitta. Lei, intanto, ha notato una tabaccheria aperta sul lato opposto della strada. Attraversa anche se non ci sono le strisce e a me, nel salutarla, mi scappa un: «Stia attenta».

Arrivo alla fermata del mio autobus, questa non è soppressa. L’attesa è di 14 minuti. Uffa, 14 minuti. Che faccio: fumo o mi metto a scrivere sul taccuino, che è già da un po’ che devo buttar giù un paio di pensieri. Niente. Squilla il cellulare e la telefonata spazza via i dubbi su come impiegare l’attesa.

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Ecco l’autobus, le porte si aprono, la ragazza e io ci ritroviamo di nuovo l’una di fianco all’altra. Obliteriamo, ci sediamo e lei riprende subito il discorso.

«Mio marito. Ho grossi problemi con mio marito».

«Le ha usato violenza?». Le dico proprio così, senza girarci troppo attorno e usando un’espressione un po’ da trattato sull’argomento. Mi sento stonare con le parole, non mi esce dalla bocca niente di meno “formale”.

«Sì. Botte. Tante, da tanto tempo».

Non piange, non si compiange: racconta.

«E adesso sono nei pasticci ancora più grossi».

«Perché?».

«Sono appena stata al Centro antiviolenza e mi hanno detto che presenteranno la denuncia alla procura della Repubblica. Accidenti, la denuncia non ci voleva. Adesso come faccio?».

Mi sento in dovere di dirle che sono una giornalista, per lasciarle la libertà di non dare altri dettagli o continuare.

Lei va avanti.

«Sono arrivata questa mattina presto in treno. Poco dopo la stazione ho visto una chiesa, sono entrata, c’era la messa. Ho aspettato che finisse e poi sono andata a parlare con una suora. Le ho spiegato di mio marito, delle botte, che sono scappata. Le ho chiesto se poteva aiutarmi anche a trovare un posto per andare a dormire. E la suora mi ha detto: “Certo”. Poi mi ha dato l’indirizzo del Centro antiviolenza e io ci sono andata subito. Ma adesso parte la denuncia, manderanno i servizi sociali per i miei figli. Lui se la prenderà con me, dirà che ho sfasciato la famiglia. Come faccio? Cosa succederà? Ho paura».

Parla bene, in un italiano mescolato a espressioni dialettali. Mi dice tutto di sé: età, nome, città di provenienza, mi racconta dei figli, del lavoro, mi fa vedere addirittura sul cellulare alcune foto. In una ha il labbro inferiore sanguinante:

«È stato lui, una notte. Mentre eravamo a letto mi ha dato un cazzotto in bocca».

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Ma le foto me le mostra dopo. Quando ormai siamo scese dall’autobus e ci siamo rifugiate all’ombra, di fianco a un locale sempre affollatissimo, compreso oggi che è la vigilia di Ferragosto.

«Suo marito beve?», chiedo.

«No». Una pausa e poi: «La droga».

«Cocaina?».

«Sì. Ma lui dice che lo fa soltanto due o tre volte alla settimana. Quando ci siamo sposati non lo faceva e io non sapevo nemmeno che cosa fosse la droga».

«E poi?».

«E poi è cambiato.

È diventato sempre più nervoso, insofferente. Non sopporta niente, nemmeno che io non sparecchi subito dopo mangiato. E mi ripete che “non sono buona”».

«Cioè le dice che non vale niente? Neanche sessualmente?».

«Sì, così. Quando si droga è come intontito, calmo. È dopo che diventa violento. Va a ricordarsi magari una parola del giorno prima e mi prende a botte, anche davanti ai figli. Una sera mi ha portato in un posto isolato e c’è mancato poco che mi ammazzasse. Non è la prima volta che scappo. Un po’ di tempo fa sono andata ancora più a Nord di Milano e poi ho chiesto ospitalità a una parente. Ma le altre volte non era partita la denuncia, adesso è diverso. Ho paura».

«Ho paura». Me lo ripete anche quando ci salutiamo, davanti al portoncino di fianco alla Chiesa dove ha trovato la suora che, questa mattina, soltanto poche ore fa, le ha detto: «Certo che ti aiuto».

AGGIORNATO il 26 AGOSTO 2014

 

 

One thought on “Sull’autobus, con la donna scappata dal marito cocainomane che la massacra di botte

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