di Anonima*

Edward Hopper, “Tables for ladies” (1930) http://www.metmuseum.org Tutti i quadri che illustrano questo post sono dello stesso autore
Un signore entra in una pasticceria e ordina una torta di pan di Spagna farcita di crema Chantilly, raccomandandosi che non sia troppo dolce. «Quando sarà pronta?», chiede il signore. E il pasticcere: «Fra tre ore». «Bene», dice il signore e va via. Dopo mezz’ora il signore torna e dice: «Senta, mi piacerebbe che sopra ci mettesse una glassa color verdino chiaro». «Certo, signore», rassicura il pasticcere.
Il signore se ne va; dopo mezz’ora torna e dice: «Può metterci anche una coroncina di roselline color di rosa?». «Come no?», risponde il pasticcere e il signore se ne va. Dopo mezz’ora ecco che il signore ritorna e dice: “Ho avuto una gran pensata: tra una rosellina e l’altra ci metta anche una fogliolina verde, un bel verde brillante, mi raccomando». «Non dubiti, signore», rassicura il pasticcere.
Dopo mezz’ora la torta è pronta: il signore la guarda soddisfatto e ringrazia, e poi: «Avrei un’ultima richiesta: mi ci scrive in rosso, VIVA PASQUALE?». Il pasticcere ubbidisce e poi: “Gliela incarto bene». «Oh no, grazie! La mangio qua», dice il signor Pasquale.
La vecchia signora ricordava bene che due erano le reazioni del parentado a questa storiellina, quando lei era bambina: alcuni singhiozzavano: «Povero signor Pasquale, tutto solo a festeggiare il suo compleanno!», dicevano. Alcuni invece sghignazzavano sgangheratamente: «Ahaha», dicevano, «il signor Pasquale non ha nessuno con cui festeggiare il suo compleanno!».
Quando era piccola, la vecchia signora non era d’accordo né con gli uni né con gli altri.
«Perché “povero Pasquale”? E chi lo diceva che era solo? Non poteva essere che il signor Pasquale
volesse restare solo, per festeggiare da solo un suo trionfo: quelle tre ore di preparazione della torta erano state quasi un “sabato del villaggio”. Poi sarebbe arrivata la domenica con congratulazioni e pacche sulle spalle… E tutto sarebbe finito».
La seconda reazione, maligna e sgangherata, dell’altra parte del parentado, la vecchia signora, da bambina, non la prendeva nemmeno in considerazione: era, secondo lei, un atto di grossa maleducazione.
Alla fermata dell’autobus che l’avrebbe riportata a casa, la vecchia signora dette un’occhiatina al carrellino strapieno delle derrate alimentari necessarie al ricco menu necessario alla megafesta per festeggiare il suo ottantesimo compleanno. Avrebbe invitato parenti e amici… tanti… tutti… tanti quanti ne poteva stipare nel suo piccolo appartamento e anche di più. «Ottantanni sono tanti», considerò la signora e, sì, ci sarebbe stato champagne d’annata e una grande bella torta con su scritto: “W LA VECCHIA SIGNORA”. E si sentì tanto “signor Pasquale”. «Beh», si disse la signora, «che male c’è?». Rimase un po’ sovrappensiero e poi, poi cercando di schiacciare i pensieracci, come zanzare, ridacchiò tra sé e sé. E in questo momento piccolo di vuoto ecco i ricordi, quelli non belli stavolta, erano arrivati, l’avevano afferrata e la trascinavano con sé e lei non era in grado di staccarsene. Doveva seguirli, erano loro i padroni, adesso. In previsione della sua sofferenza futura, la nostra signora pianse, proprio così, un piantarello preventivo.
«Ecco, diciamoci la verità», si disse la signora, «quanti ne sono rimasti di amici, di quelli conosciuti e amati nel corso della vita e persi. Quanti gli oggetti abbandonati perché ritenuti inutili o, per la fretta di fuggire, l’ultima volta, dimenticati…».
Faceva caldo, l’aria era pesante, quel pomeriggio e la signora, oltre le lacrime, si asciugò alcune goccioline di sudore dalla fronte e sperò, scioccamente, di poter essiccare, con questo gesto, anche i brutti ricordi.
Ma non era possibile. E si rese conto che il suo era stato solo un gesto meccanico, che non avrebbe sortito effetto alcuno. O almeno non l’effetto da lei desiderato.
Gli oggetti sono oggetti, si disse la signora. «Ritorna al fatto in sé», avrebbe detto sua Madre, carica di saggezza, ma la saggezza di Mamma non avrebbe mai potuto cancellare l’horror vacui che adesso, proprio adesso, in quel momento preciso, lei stava sopportando.
E come in un sogno, ma vivido, terribilmente vivido, le passarono sotto gli occhi, socchiusi per il sole, tutti gli amici, tutti gli oggetti che…. I buccheri etruschi, dono di Clara, la bella Tata del suo piccolo Marco, figlia di un “un tombarolo”. Già, Clara, chissà dove era adesso…
E i piccoli reperti precolombiani che Nino le aveva portato dal Guatemala… E Nino? Così prematuramente scomparso e tanto pianto, caro lontano amico! E il piccolo arazzo ricamato da sua nonna con la scritta “Ubi Deus et amor ibi vita”… Sì, sua nonna lo aveva ricamato per lei in occasione della sua nascita, come ne aveva ricamato uno per ciascuna delle sue nipotine.
Così, adesso, sua sorella e tutte le sue cugine lo avevano, il loro piccolo arazzo ricamato da nonna con frasi edificanti come augurio e insegnamenti per la vita, ma lei no… E i 12 acquerelli dono di P’tit Gé, il creolo, l’haitiano dai grandi occhi verdi sulla pelle scura, ultimo discendente di quel Chancy, schiavo negro liberato, che ai primi dell’Ottocento aveva firmato la carta di indipendenza della neonata Repubblica di Haiti, riscattatasi dalla dominazione francese… Anche P’tit Gé non c’era più. E lo straordinario grandissimo quadro che rappresentava un coloratissimo mercato haitiano e che trionfava nel salotto di casa sua, occupando un’intera parete. E i dischi di Olga Guillot, che cantava con la sua bella voce ingolata e potente i morbidi ritmi afrocubani… E i suoi dischi di musica classica… E i suoi libri… i suoi amati libri di Storia.
Oggetti. In mano a chi erano finiti? Chi se li godeva adesso i SUOI oggetti! Oggetti… e non solo, perché insieme a loro anche i suoi “umori”, quelli che lei vi aveva lasciato sopra ogni volta che li aveva accarezzati… qualcosa di intimamente suo… anche loro: fuggiti via.
E infine ricordò, con uno spasmo al cuore, quel pomeriggio:
«Ma Pat… è un po’ di tempo che non ci telefona», chiese.
«Pat è morto», si sentì rispondere seccamente.
«Oh Dio», disse lei, «e quando?».
«Un mese fa», e poi «Ma tu dove vivi?», l’espressione del viso era sprezzante.
E lei di rimando, con voce forte, ma senza risentimento, esprimendo una costatazione di fatto.
«Dove mi ha relegato tu».
Lui non rispose, attraversò la stanza, allontanandosi, col volto corrucciato.
Nella penombra, rimasta sola, senza pensiero alcuno, lei si guardò le punte dei piedi e mormorò ancora, ma stavolta a sé stessa: «Dove mi hai relegato tu».
E allora, solo allora, si rese conto di aver risposto, e che cosa aveva risposto, e sentì tutta la pesantezza dei suoi anni passati.
L’autobus stava arrivando e la signora, tirando su col naso, si preparò a salirci sopra insieme al suo pesantissimo carrellino e ai suoi tristi pensieri.
*L’autrice di questo post ha chiesto (ed eccezionalmente ottenuto) di mantenere l’anonimato.
L’autrice ha chiesto ed ottenuto, eccezionalmente, di restare anonima. Queste righe potrebbero essere state scritte da tante donne . Tante vestite alla moda, con le tasche piene di sogni o di libri o di gioielli o di parole o di silenzi.Perchè le donne , in genere, nascondono dietro i sorrisi, dietro il trucco, dietro la spavalderia, ma dentro al cuore.
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Se ci viene concesso di vivere a lungo (ed è già una fortuna) ci sono immancabilmente momenti di gioia, momenti difficili e momenti che rappresentano delle svolte. E’ innegabile comunque che la vecchia signora ha avuto una vita piena e densa di esperienze e nessuno potrà mai strappare dal suo cuore e dalla sua mente gli oggetti e i preziosi ricordi delle persone incontrate nel suo percorso. Oggi tutti rivivono in questo bellissimo pezzo.
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mi piace molto. Come mi piacciono le immagini di Hopper e i commenti delle compagne lettrici. Buon Ferragosto!
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Buon Ferragosto anche a te! Che voglia che ho di conoscerti di persona… Grazie!
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